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Come la tigre Arkan riuscì a far arrivare la sua squadra in Champions League

La storia dell'FK Obilić, acquistato dalla tigre Arkan negli anni Novanta e finito in Champions League tra corruzione, minacce di gambizzazione e vittorie totalmente improbabili.

Arkan con la coppa per il secondo posto della sua squadra. Foto

via. Questo articolo è tratto da VICE Sports.

C'era qualcosa di estremamente svizzero nello scandalo dello scorso anno sulla corruzione nella FIFA: uomini benvestiti che concludono affari loschi in alberghi di lusso scambiandosi buste di carta marrone piene del denaro necessario ad assicurarsi i diritti TV per i marchi sportivi; leghe calcistiche che annusano il vento regalando borse di marca alle mogli dei dirigenti della FIFA. Solo un ingenuo potrebbe stupirsi. È ovvio che i voti per la Coppa del Mondo erano in vendita—chi sarebbe andato in Qatar se non ci fossero stati dei soldi in mezzo? I giudici americani non vedono differenza tra la mafia e i vertici della FIFA, ma questi ultimi sono così miseri, così civili, così svizzeri.

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Nella Serbia degli anni Novanta, invece, il connubio calcio-criminalità aveva preso tutt'altra forma: i criminali di guerra compravano squadre sportive di bassa categoria e le facevano arrivare fino alla Champions League a suon di minacce a giocatori e arbitri. E quando gli si prospettavano sanzioni dalle autorità competenti, rispondevano cercando di uccidere i capi della UEFA—come nel caso dell'FK Obilić.

L'FK Obilić, che mutua il suo nome del leggendario cavaliere serbo del 14esimo secolo Miloš Obilić, era stata fondata nel 1924 in una zona ricca di Belgrado e per la maggior parte della sua esistenza aveva pigramente militato nel campionato semi-professionistico regionale. A parte un brevissimo momento di successo prima della Seconda guerra mondiale, la squadra era rimasta quasi a livelli amatoriali finché era entrata nella terza divisione del campionato jugoslavo nella stagione 1988-89, quattro anni prima che la federazione socialista e i suoi campionati calcistici si dividessero.

Il primo traguardo dell'Obilić fu una comparsata nella finale di coppa del 1995, che perse 4-0 con la Stella Rossa Belgrado, ex campione d'Europa. A quel punto il club si lasciò andare una seconda volta, finendo a metà classifica. Un anno dopo, però, la squadra fu comprata da Željko Raznatović, noto anche come "Arkan", agente segreto, militare e criminale di guerra. Sotto la sua guida la squadra fu promossa alla prima stagione, e diventò la prima (e fino ad allora l'unica) a rompere il monopolio Stella Rossa-Partizan Belgrado—un monopolio durato per 27 anni.

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Arkan, al centro, con i suoi giocatori dopo la vittoria del titolo.

Per moltissimi, l'improbabile impennata dell'Obilić non è separabile dalla fama del suo presidente. Anche se ufficialmente era un pasticcere, tra gli anni Settanta e Ottanta Arkan si era fatto una carriera criminale in Europa occidentale. Decine di rapine in banche e gioiellerie olandesi, tedesche, svedesi, svizzere, austriache, italiane e belghe—oltre a scontri a fuoco con la polizia, quattro evasioni dal carcere e una permanenza nella lista dei ricercati numero uno dell'Interpol—avevano fatto di lui il pasticcere più temuto del mondo. Per dissuadere i criminali jugoslavi dal compiere crimini nel loro paese, i servizi segreti nazionali davano loro passaporti falsi e tutto il necessario perché andassero a seminare devastazione altrove, poi li accoglievano a braccia aperte quando tornavano a rimpinguare l'economia con il bottino delle ruberie.

Tra criminali e governo scorreva buon sangue, cosa che, nel caso di Arkan, si sarebbe rivelata positiva per entrambe le parti. Quando due poliziotti tentarono di arrestarlo in seguito a una rapina in banca a Zagabria, nel novembre 1983, Arkan sparò a entrambi. Fu rilasciato dopo 48 ore. Da quel momento fu chiaro a tutti che godeva dell'impunità più totale.

In cambio Arkan aiutò lo stato ad assicurarsi un'influenza anche in posti che normalmente non sarebbe riuscito a raggiungere. Un primo esempio riguarda la fine degli anni Ottanta, quando la Stella Rossa mostrò i primi segnali di rotture politiche. Dato che era la squadra più tifata del paese davanti al Partizan, i suoi sostenitori rappresentavano un piccolo esercito che le autorità avevano sempre cercato di arginare piuttosto che attaccare.

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Arkan, su richiesta di Slobodan Milošević, fu allora incaricato di gestire il ribollente sentimento politico che si diffondeva tra i tifosi, dai "Cigani" ai "Delije". Quando nell'ottobre 1990 Arkan formò la Guardia volontaria serba, un'organizzazione paralimitare che avrebbe combattuto in Croazia e Bosnia, lo stadio aveva funto da vero e proprio luogo di reclutamento. Le tigri di Arkan, come venne poi chiamata la Guardia, commisero atrocità che in Europa non si vedevano dai tempi dell'Olocausto—devastazioni, cattura e uccisione di civili, stupri.

A conflitto finito, nel 1995, Arkan decide di dedicarsi al mercato nero in patria. La criminalità organizzata era ormai così diffusa nel mondo del calcio serbo che tra il 1995 e il 2006 furono uccisi 11 presidenti di squadre. Le mafie lo trovavano un mondo redditizio perché potevano intascarsi i profitti delle vendite dei giocatori ai maggiori club europei. Numerose erano anche le estorsioni ai danni dei giocatori, che venivano riempiti a credito di macchine e case e poi minacciati una volta all'estero.

All'inizio Arkan aveva cercato di comprare la Stella Rossa, ma come tutte le istituzioni della Jugoslavia socialista non potevi semplicemente fare un'offerta e comprarla perché era un'impresa statale. Dovevi essere nominato presidente dal consiglio esecutivo. Le sue avances vennero rifiutate, e sfortunatamente per lui la dirigenza del club era troppo gremita di politici corrotti, ex-calciatori e personaggi con amicizie importanti per ucciderli tutti. Per questo motivo, lui e altri criminali si concentrarono su piccole squadre sconosciute come l'Obilić.

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Dopo l'arrivo di Arkan nell'estate del 1996, "i cavalieri" dell'Obilić vinsero il loro campionato con un margine di 15 punti e solo quattro sconfitte nell'intera stagione. Il FK Železnik era passato anch'esso alla divisione superiore; era di proprietà di uno degli amici di Arkan che fu ucciso l'anno successivo. Ma se in quell'anno lo Železnik aveva dovuto lottare contro la recessione, l'Obilić aveva vinto il campionato con due punti di vantaggio sulla Stella Rossa e una sola sconfitta. Giunse anche in finale di Coppa, dove il Partizan ebbe però la meglio—la leggenda vuole che fosse tutto stabilito: il Partizan avrebbe lasciato vincere l'Obilić in una della ultime partite di campionato senza fare nemmeno un tiro in porta per farlo arrivare primo, e non dover così giocare contro la Stella Rossa in finale di Coppa. Per ricambiare, l'Obilić avrebbe perso la finale.

Ma non sono state le sole accuse che hanno accompagnato la vittoria del campionato. In seguito sarebbe emerso che i giocatori avversari ricevevano chiamate minatorie prima delle partite—di solito erano minacce di gambizzazione. Si diceva anche che l'ala del FK Vojvodina Nikola Lazetić fosse stato chiuso nel baule di una macchina e costretto a firmare per l'Obilić per poi essere venduto al Fenerbahce 18 mesi dopo.

Al tempo la UEFA permetteva alle singole squadre di emanare licenze da allenatore, e questo permise ad Arkan di sedersi in panchina. Lì, accanto al manager della squadra, osservava il gioco e faceva venire le gambe molli agli avversari. Ma non è finita qui: qualche anno fa l'arbitro Zoran Arsić ha ammesso alla televisione serba che Arkan aveva forzato un cordone di polizia ed era entrato nello spogliatoio per minacciarlo. Arsić ha detto di essere stato ingiuriato, schiaffeggiato e di essersi trovato con una pistola puntata alla testa. Nelle alte sfere del calcio nazionale si sapeva, ma tutti gli avevano detto di tenere la bocca chiusa, e in cambio non avrebbe mai più dovuto arbitrare una partita dell'Obilić. Non che i metodi di Arkan fossero un mistero. Una volta un giocatore della Stella Rossa si era rifiutato di tornare in spogliatoio nell'intervallo: avrebbe preferito pisciare sul campo piuttosto che rischiare di incontrarlo in doccia.

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La vittoria del campionato fece finire l'Obilić in lizza per la Champions League. La UEFA era ovviamente preoccupata all'idea di ritrovarsi tra i piedi una squadra guidata da un criminale di guerra—e le sue paure divennero realtà quando l'Obilić sconfisse l'ÌBV (vincitrice del campionato islandese) nel primo scontro delle qualificazioni. La UEFA minacciò allora la squadra di espulsione, e Arkan fu costretto a rassegnare ufficialmente le dimissioni il 25 luglio 1998.

Ma non è stato l'ultimo atto di questa soap opera machiavellica: al suo posto nominò la moglie 25enne Ceca, che era la popstar più famosa della nazione e l'equivalente serbo di Dolly Parton—solo con protesi al seno di dimensioni pantagrueliche.

Anche se allora al club fu permesso di continuare, e vinse la partita successiva per 2-1, Arkan era divertito dalla propria prepotenza e decise—pare—di far uccidere il presidente della UEFA Lennart Johansson. In un'intervista di nove anni dopo Johansson ha ammesso che anche lui l'aveva sentito dire; pare che gli avessero dato una scorta ma avessero poi dovuto ritirarla quando non si era presentata alcuna chiara occasione di minacce ai suoi danni.

Poiché a quel punto Arkan aveva le mani legate, i limiti del suo team emersero nel secondo round di qualifiche—quando l'Obilić si scontrò con il Bayern Monaco. I tedeschi vinsero 4-0 in una partita in Baviera che Arkan non aveva potuto seguire a causa della taglia sulla sua testa messa in Germania fin dagli anni Settanta. Il ritorno si giocò a Belgrado e finì 1-1. L'Obilić entrò così nel girone delle 32 squadre della Coppa UEFA e si scontrò subito con l'Atletico Madrid, perdendo sia andata che ritorno con un totale di tre gol subiti e zero segnati. Fu quello il momento in cui si chiuse la sanguinosa età dell'oro dell'Obilić e iniziò il suo declino.

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Anche se nella stagione 1998-99 non aveva subito sconfitte, l'Obilić non fu in grado di difendere il titolo quando la campagna di bombardamenti della NATO contro la Serbia fece interrompere il campionato a dieci partite dal termine. Allora vennero considerate definitive le classifiche parziali, e il Partizan risultava due punti sopra l'Obilić. In tempi normali sarebbe stato abbastanza per qualificarsi in Champions League, ma la Corte Penale Internazionale aveva avanzato accuse su Arkan per genocidio e crimini contro l'umanità in ex-Jugoslavia, perciò la sua squadra era stata messa al bando dalla competizione—che è piuttosto giusto, no?

La stagione successiva era di nuovo promettente. Ma poi, il 15 gennaio del 2000, un uomo sparò alle spalle ad Arkan, uccidendolo, nella lobby dell'hotel Intercontinental di Belgrado.

Gli avversari dell'Obilić si sentivano molto più liberi di giocare ora che non c'era un criminale di guerra in panchina a pianificare il loro funerale, e sconfissero sei volte la squadra nel girone di ritorno—sei, come le sconfitte totali dell'Obilić quando Arkan era in vita. L'Obilić finì al terzo posto, e andò sempre peggio, finché nel 2005-2006 la squadra dovette retrocedere e continuò così per i sette anni successivi, fino all'ultimo piolo della lunga scala dei campionati regionali serbi.

Ma non è finita: qualche tempo dopo Ceca, la sovraccitata sposa di Arkan, fu coinvolta in una serie di operazioni di polizia dopo che alcuni criminali avevano ucciso Zoran Djindjić, primo ministro riformista serbo. A casa sua trovarono 11 armi per cui non aveva la licenza e le prove che si era intascata quattro milioni di marchi tedeschi [circa due milioni di euro] e 3,5 milioni di dollari [circa 3,2 milioni di euro] dalla vendita di 10 giocatori dell'Obilić nei tre anni successivi la morte del marito. Al processo svoltosi nel 2011, però, le furono dati solo 18 mesi ai domiciliari e una multa da 1,5 milioni di euro—molto meno di quello che aveva intascato.

Oggi, se passate vicino al campo dell'Obilić, potete vedere un murales di Arkan con il basco rosso. Ceca invece finì in televisione tutti i sabati, a distruggere i sogni di gloria dei serbi in qualità di giudice alla versione serba di X Factor. La guerra in Jugoslavia è finita, ma le condizioni che hanno permesso a un criminale di guerra di fare arrivare una squadretta alla Champions League non sono esattamente sparite.

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