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Le Berluscheneidi

Siamo andati al Tribunale di Milano per tastare gli umori dei presenti dopo la notizia della condanna.

Non capivo bene quale fosse il mio preciso compito da cronista ieri mentre mi dirigevo al Tribunale di Milano. Non capivo più che altro quale fosse la grande notizia del giorno, anche se, chiaro, ogni persona di buon senso ha avvertito un leggero brivido alla notizia della condanna di Berlusconi in primo grado-brivido in molti casi tradottosi nel solo pronunziare tra sé e sé le soavi sillabe della locuzione interdizione perpetua dai pubblici uffici.

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Solo che, anche prima della parabola ascendente e discendente del piccolo orgasmo giustizialista delle 17:00 (parabola descritta molto bene qui) il nostro cuore sapeva che l'altra locuzione, in primo grado, significa che niente di tutto questo verrà realizzato, almeno non immediatamente. Arrivo davanti al Tribunale di Milano convinta di trovare un bel po' di giovani rossi riottosi, o Marco Travaglio, invece trovo solo un gruppo di sei o sette habitué del fuori-processo, circondati da una settantina di giornalisti in dolce attesa. Il primo fra questi personaggi che gravitano nella galassia dell'iter processuale berlusconiano è Luigi, che da anni segue le relazioni epiche del nostro ex Primo Ministro e le ha documentate a modo suo.

Mi mostra infatti l'evangelario di Ruby, Nicole e la D'addario. "Ev-angela-rio. Questa è la gens Silvia, la stirpe divina. Silvio è nato dalla congiunzione tra Enea e Lavinia, perciò è l'ultimo Troiano e il primo italiano. Il mio libro è la palingenesi di questa creatura divina che è Silvio. Lui, a differenza dell'altissimo che va sul monte Sinai, va sul monte di Venere. E questo è solo uno dei cinque libri: poi c'è il Bibbio di Arcore, il Corano di Cormano, il Salterio di Macherio e i Berluscheneidi." "Ho capito." "Guarda, qui c'è il Dalai Lema. Budda e il buddismo, Bunga e il bunghismo." Solo che Luigi non ha idea di cosa succederà oggi, prende la storia di Berlusconi come un reale avvenimento epico e si limita a documentarlo come gli aedi dei vecchi tempi. "Io sono solo uno scriba," mi dice.

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Mi sposto sul retro del tribunale, il vero centro dell'attenzione dato che, mi dicono: "C'è la Rai, e la Rai ha l'esclusiva sul processo, quindi usciranno da qui." Infatti è qui che trovo il più folto gruppo di dissidenti, ben sei signore inneggianti alla giustizia, alla costituzione e alla Boccassini, oltre chiaramente a una cinquantina di giornalisti, sempre deambulanti a caso come i padri fuori dalla sala parto. Dovrei parlare con qualcuno di loro, forse, ma mi fanno più paura della peste, stanno guardando un punto X sul muro esterno dell'edificio fascista del Tribunale. Non considerano molto le signore lì presenti, non le intervistano, alcuni le fotografano per fare "copertura", come mi spiega un inviato Rai.

Mentre questi individui dotati di radiomicrofoni continuano a girare in tondo mi avvicino alla signora Antonietta, un volto noto, anzi più che un volto un manifesto umano dato che da alcuni anni gira la città in bicicletta agghindata da cartelli homemade inneggianti alla sparizione di Silvio dal panorama politico. Le chiedo come sta, speranzosa mi dice: lei c'è ad ogni singolo processo di Silvio e segue le sue vicende "da prima che entrasse in politica, è inutile che dica che ha iniziato ad essere perseguitato quando è entrato in politica perché non è vero, ha sempre fatto delle schifate." Le chiedo quando ha iniziato a vestirsi di slogan antiberlusconiani. "Quando ha dato dei coglioni a quelli che non l'hanno votato," mi dice. "Ero così arrabbiata che, mi ricordo, ero in cucina, avevo uno strofinaccio e ci ho scritto: "Sarò anche un coglione, ma te per essere un nano sei una grossa merda." E questo è stato il mio primo manifesto. Me lo sono messa sulla schiena e sono uscita. Che è stata una cosa scioccante, perché la gente mi guardava, io andavo ovunque, facevo tutto con il mio manifesto addosso. Non andavo in chiesa, ma quello non ci vado indipendentemente." E mi racconta come da quel giorno di qualche anni fa ci sia ora un botta e risposta continuo tra lei e il nano. "io rispondo a tutte le cazzate che dice, perciò non è che se la può prendere con me. È il mio vate, diciamo così."

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Chiaramente ora sono turbata perché sto riflettendo seriamente sul rapporto viscerale che queste persone intrattengono con la figura di Berlusconi e con le sue vicende mediatiche, ma sono ancora più turbata dai cronisti che mi circondano e che vanno a pungolare i sempre più numerosi (ora saranno in quattro) berlusconiani che passeggiano indifferenti e che sporadicamente urlano "forza Silvio!" Dato che queste mosche bianche sono inavvicinabili dai giornalisti, ai quali non vogliono rilasciare dichiarazioni, la stampa che si annoia trova, per ammazzare il tempo, molto spassoso andare a documentare quei momenti in cui, ogni tanto, il berlusconiano albanese "che non sta tanto a posto di cervello", come mi dicono, si appiccica con una delle signore del gruppo antagonista.

In effetti come rappresentante dell'elettorato di centrodestra italiano è un po' contraddittorio, dato che il suo fiancheggiatore, che a quanto ho capito simpatizza ancora di più per la Lega, è imbarazzato del fatto che lui dica "gli stranieri non devono venire in Italia a rubare il lavoro, devono stare a casa loro" o "i poveri sono solo invidiosi di Berlusconi, ma lui dà lavoro a un sacco di gente," tutto questo imbracciando un manuale di storia medievale. Le dichiarazioni politicamente scorrette di questo individuo, docilmente accompagnate dalla tecnica "fare le corna mentre la telecamera riprende" (abilmente imparata dal Maestro) irrita il gruppo garantista sempre di più, finché non si inaugura un altro battibecco, ovviamente seguito da vicino da sei o sette telecamere.

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Probabilmente questi giornalisti, non potendo documentare gli atti che si stanno svolgendo all'interno dell'aula, desiderano alimentare un modello forense molto noto al proprietario del gruppo Mediaset e a uno dei suoi più decisi apologeti, Rita Dalla Chiesa, e creare un "dibattito acceso" fra anziani appartenenti a fazioni avversarie. Un feticismo strano, quello dei giornalisti nei confronti di questi battibecchi, un feticismo che non saprei come definire se non Mediaset. Già prima di giungere in loco mi ero ovviamente incazzata con RepubblicaTV che documentava un battibecco tra vecchi-avevo pensato Che tristezza, avevo pensato Sarà un errore, invece era più o meno la linea guida editoriale di quasi tutte le testate ivi presenti.

Rincagnata dalla mia sempre più acuta convinzione che il 90 percento della stampa presente non se la passi benissimo, cerco di calmarmi continuando a parlare con Antonietta e le altre suffragette, quando, attenzione, arriva la Santanché. I cronisti impazziti formano una piramide umana per riuscire a riprendere da qualche inquadratura un pene invisibile che entra nella sua bocca. Alcuni giornalisti urlano "troia!" dissimulando, io mi defilo e mi siedo vicino ad Antonietta che mi dice "una volta ci ho detto 'Signora Daniela…' e lei 'Sì, mi dica' e io: 'Plastificata!'… che soddisfazione."

Mentre la nuvola di mosche intorno alla Santanché si dirada e lei può entrare a godersi la sentenza e a inveire contro gli sbalzi di peso della Boccassini, il clima di attesa nervosa della Stampa è ancora più teso. Mi rivolgo a una signora il cui volto rimane sempre coperto da un cappello a tesa larga, che capisco essere una simpatizzante di Silvio, le chiedo perché è qui, mi dice che è certamente qui perché questo è un processo schifoso, bisogna vergognarsi di essere italiani per quel marciume che c'è dentro al Tribunale, che i giudici vogliono infangarlo, "Posso sapere il suo nome?" le chiedo, "No, signorina, il mio nome è Speranza." Mi allontano.

Finalmente arriva la sentenza, accolta con un applauso dalla mandria del fuori-tribunale, accolta con salti di gioia delle sei signore, che si sono messe d'accordo poco prima di non cantare "Bella Ciao", troppo poco pertinente, ma di festeggiare con il più sobrio inno nazionale. La loro gioia riaccende subito l'interesse della stampa e nugoli di giornalisti si avventano sulle signore chiedendo loro di esultare di nuovo di fronte alle telecamere. "Sorrida di più, signora, brava, così, urli," sono le indicazioni date ad Antonietta, sola ed esultante circondata da una ventina di reporter. Appena tutti si allontanano vado ad abbracciarla un pochino, lei mi dice "Oggi do baci gratis a tutti, meglio un abbraccio gratis che una prestazione pagata!"

Poco dopo esce di nuovo la Santanché, oramai un capro espiatorio della frustrazione accumulata durante la giornata. Mi fa un po' di tenerezza in mezzo a quella nuvolona di telecamere, e quando mi rendo conto che a farmi tenerezza è la Santanché decido che è arrivato il momento di andare a casa, dato che sto evidentemente sfasando. Anche Antonietta se ne va, senza voce, in bicicletta, inseguita da un fotografo recidivo. Nel frattempo la mia bacheca di Facebook ha iniziato ad animarsi. Le mie riflessioni di fine giornata vertono praticamente tutte sul testo di Popper che mi avevano fatto leggere a scuola, in cui affermava che la stampa italiana, debole come quella dei paesi dell'ex unione sovietica, si è fatta mangiare dal monopolio assoluto dell'informazione televisiva, che ruota da trent'anni sempre e comunque intorno alla figura di Berlusconi, e che è a causa della sua onnipresenza mediatica immediata, quasi mai seguita da riflessioni, che ora la sua vicenda è vista più come un poema epico che come un avvenimento politico.

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