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Cosa succede se ti metti contro la mafia dei noodles di Shanghai

Un cartello segreto controlla il mercato dei noodles di carne della città cinese: Xian ha violato una delle loro leggi non scritte, e ne ha provato le conseguenze sulla propria pelle.
Foto di Charles Haynes/Flickr

Il lanzhou lamian è un piatto molto popolare in Cina, a base di noodle serviti con carne. Oltre ad essere molto nutriente e consumato, però, è anche al centro di una rete criminale che opera attorno alla sua commercializzazione.

Esiste una vera e propria mafia dei noodle, a Shanghai. E a chi non conosce le sue regole non è concesso di lavorare liberamente: è quello che è successo a Xian, che aveva osato aprire un ristorante in città nell'estate scorsa, l'Alilan Beef Noodles.

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Xian è un ragazzo musulmano della provincia di Gansu, il cui ristorante non serviva i noodle classici, ma una versione islamica del lamian. Nonostante ciò, dopo varie minacce, è stato costretto a cambiare l'insegna del suo ristorante dopo essersi convertito.

Chi lo aveva messo nel mirino—una sorta di cartello della ristorazione locale—gli contestava di aver violato un codice non scritto che governa gli esercizi commerciali della zona.

È il cosiddetto "Trattato Shaanxi-Gansu-Ningxia", che—tra le altre cose—fa divieto a chiunque di aprire un ristorante specializzato in noodle alla carne in un raggio compreso entro 400 metri dall'omologo più vicino.

L'Alilan pieno malgrado il blitz del 'cartello' fuori dal locale, il 16 luglio scorso (immagine via).

Anche se questo accordo non scritto non ha—ovviamente—alcun peso giuridico, è praticamente 'legge' tra i ristoratori di Shangai specializzati in noodle.E Xian, in sostanza, aveva violato questa legge senza saperlo, provandone le conseguenze sulla propria pelle.

Uno squadrone composto da circa cento persone si mise quindi sulle sue tracce, raggiungendolo e impedendo l'accesso dei clienti al ristorante, devastando il devastabile e minacciando di uccidere i membri della sua famiglia—non prima di avergli offerto 300mila renminbi per chiudere il locale, circa 40mila euro.

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Il gruppo ha vessato in vari modi Xian per tutto il mese di luglio, persino mettendo in giro voci false per screditarlo e fargli cattiva pubblicità—come il fatto che vendesse carne non halal, quindi non prescritta dalla legge islamica.

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È stato allora che Xian ha deciso di ricorrere a Weibo—un social network cinese—per documentare le molestie di cui stava soffrendo: l'hashtag #BeefNoodleGate divenne ben presto trending, spingendo in molti ad abbracciare la sua causa e generando milioni di commenti.

Clienti che pubblicano foto su Weibo in supporto del locale (immagine via).

Non sono stati pochi, poi, quelli che hanno postato sui loro profili delle foto in cui venivano ritratti a mangiare all'Alilan Beef Noodles.

Dopo un paio di settimane, le parti raggiunsero un accordo grazie alla mediazione della polizia locale, di alcuni rappresentanti del Comitato per gli Affari Etnici Religiosi, di autorità delle province di Qinghai e Gansu, e di una manciata di proprietari di ristoranti di noodle.

Il risultato: Xian riuscì a tenersi il negozio per il quale aveva ipotecato la sua casa, ma si vide costretto a rimuovere le parole "halal" e "carne" dall'insegna, siglando una tregua con la mafia dei noodle che però non ha mai pagato per le sue violenze.

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