In questo ristorante ho scoperto i prodotti più assurdi d'Europa
Foto di Paulo Barata

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Cibo

In questo ristorante ho scoperto i prodotti più assurdi d'Europa

In Portogallo ho trovato in un ristorante limoni giganti, kombucha con le foglie di coca e pericolosi frutti di mare.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

Ogni tanto è inevitabile avere una visione macchiettistica di un determinato paese. Per quanto possiamo bearci della nostra apertura mentale, ritenerci viaggiatori avventurosi e aver preso 30 nell’esame di antropologia all’università, le nostre esperienze all’estero e i nostri contatti con altre culture sono sempre mediate da una buona dose di stereotipi, preconcetti e, nel peggiore dei casi, pregiudizi, ormai sedimentati nella nostra mente e restii ad andarsene. I miei pregiudizi sul Portogallo vertevano principalmente sulla cucina. Questo paese piccolino e defilato, schiacciato dall’ingombrante ombra gastronomica della Spagna, cosa aveva da offrire al mondo dal punto di vista culinario? Baccalà fritto? Lattine di sardine leziosamente decorate? Sai che roba. Chi mai sentiva parlare della cucina portoghese, se non per citare fugacemente i pasteis de nata? Poi, quattro anni fa, sono andata in Portogallo per la prima volta. E inevitabilmente mi sono ricreduta, scoprendo una tradizione culinaria gloriosa e una scena fine dining sempre più interessante e in crescita. Ma la vera epifania gastronomica è arrivata qualche settimana fa, nel mio ultimo soggiorno a Lisbona, al ristorante Loco.

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Foto di Paulo Barata

Il ristorante si trova ai piedi nel quartiere di Estrela, a pochi passi dall’omonima basílica e dall’omonimo parco - due dei miei posti preferiti in città. È stato aperto due anni fa da Alexandre Silva, uno che mi era stato presentato come cocinero rebelde, cuoco ribelle. Aggettivo che gli calza perfettamente, ma non nell’accezione di ‘chef barbuto, coperto di tatuaggi e nudo sulla copertina di GQ’, bensì in quella di ‘chef che fa quello che vuole, come vuole e quando lo vuole’. E quello che lui vuole è portare in tavola il Portogallo. “So di dire una banalità, ma lavorare con grossi fornitori sarebbe molto, molto più facile” spiega “Noi invece selezioniamo solo piccoli produttori, li andiamo a trovare uno per uno".

Il menu di Loco - non c'è carta, solo due percorsi degustazione di due diverse lunghezze - è una celebrazione del territorio portoghese. A partire dalle cose più banali: il sale. Il loro viene da Terras de Sal, una salina a Castro Marim, dove il fiume Guadiana incontra l'Oceano Atlantico. Alexandre ha una luce bellissima negli occhi mentre mi descrive la meraviglia delle distese di un bianco abbacinante, che si portano dietro 5000 anni di storia e di battaglie ininterrotte - greche, romane, fenicie, cartaginesi - per appropriarsi di un bene tanto prezioso. Oppure: gli agrumi.

Foto dell'autrice

Foto dell'autrice

Da Loco ne usano tantissime varietà diverse, tutte provenienti da Lugar do Olhar Feliz. Qualche decina di anni fa Ann Kenny e Jean-Paul Brigand, canadese lui e francese lei, hanno acquistato - più per diletto che per reali progetti commerciali - questa fattoria di 35 ettari a un'ora circa da Lisbona, e lì hanno iniziato a coltivare agrumi. A loro piacciono per l'estetica, per l'idea e per il divertimento nel trovarne nuove specie.

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Ad Alexandre piacevano per il profumo, per il sapore e per le loro infinite possibilità di utilizzo. Li ha convinti a venderglieli e ora da Loco l'agrume è diventato una chiave di volta fondamentale oin tantissimi piatti. Il pomelo gigante, la divertente mano di Buddha, il cedro - protagonista, insieme a cavolo e bottarga, di una divertente fricassea di pesce - lo yuzu che viene grattugiato sopra il sashimi di tonno…

E poi ci sono gli esperimenti di preservazione. Ma di questo parleremo tra poco.

Foto di Paulo Barata

Un altro capitolo a sé è quello dei formaggi. Il Portogallo ha una solida tradizione casearia con latte vaccino, mentre quando si parla di pecora o capra è difficile anche solo trovare un latte decente. E così i formaggi hanno iniziato a farseli da soli. "Facciamo 100 km per 5 litri di latte di capra o pecora. Non è stato facile, ma abbiamo trovato una fattoria bio a Sesimbra: il loro latte è bello grasso, perfetto per fare il formaggio" mi spiega lo chef "Ma in futuro c'è l'idea di cominciare a produrre anche quello da soli".

Il 'responsabile' del progetto formaggi è il suo sous chef, Ricardo Leite. Schivo e riservato, si apre in un sorriso luminoso quando mi mostra il frigorifero dei formaggi: "Per ora ne facciamo quattro tipi, abbiamo giocato prevalentemente con i tempi di stagionatura - da due mesi a un anno - e con le tipologie, ad esempio in mosto di sake di riso locale. E adesso iniziamo a sperimentare con la muffa, inauguriamo una “new phase” in cui vogliamo arrivare a produrre qualcosa di simile al Roquefort". E se vi chiedeste, come me lo sono chiesta io, quanto è facile produrre i formaggi se non si hanno gli strumenti adatti: "Bisogna girare le forme in maturazione ogni giorno: vengo sempre io a farlo, anche nei giorni di chiusura del ristorante. E poi non c’è meccanismo di controllo dell’umidità - sarebbe troppo costoso da acquistare - quindi controlliamo tutto noi con un termometro".

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"C'è anche il kombucha con le foglie di coca o di cannabis: la fermentazione, mi dice, uccide ogni potere narcotico. Mi trattengo dal commentare: peccato"

Il frigorifero dei formaggi si trova nella test kitchen, che loro chiamano Experimental Kitchen, subito a fianco al ristorante. È questa la parte più ambiziosa di Loco, quella che meglio mostra la visione affatto scontata di Alexandre e la sua volontà di investire nei giovani.

A capo di questa piccola cucina c'è Manuel Liebaut, che nonostante i trent'anni scarsi ha già lavorato con Albert Adriá e a Singapore nel celeberrimo Burnt Ends, il cui titolo ufficiale è: capo della sezione Investigação e Desenvolvimento (Ricerca e Sviluppo).

Qui arrivano tutti i prodotti che Alexandre trova, qui nascono i piatti del ristorante: "Per noi è una sfida, un pungolo costante in testa: come possiamo valorizzare tutto quello che abbiamo?". Manuel apre credenze, svuota frigoriferi, mi porta in una minuscola stanzetta piena di scaffali con centinaia di barattoli di sottaceti e fermentati: "Siamo piccoli ma abbiamo grandi idee. Per contenerle tutte ce ne vorrebbero tre, di cucine. Non sappiamo mai cosa verrà fuori: bisogna essere preparati al fallimento. Qualche settimana fa ci sono arrivati 30 kg di cachi, splendidi, e ho provato ad essiccarli. È andata male: sono marciti. Tutto quel bendidio buttato".

L'ispirazione orientale è forte: producono il koji, il sake, diversi tipi di miso - quello con le patate dolci è straordinario - l'umeboshi di mandorle, una trentina di tipi diversi di kombucha. Per una come me, disposta a pagare cinque euro per una bottiglia di kombucha al supermarket bio, è commovente vederle tutte disposte davanti a me, ognuna con il suo colore, la sua carbonazione, la sua aromatizzazione. Ce n'è anche con le foglie di coca o di cannabis: la fermentazione, mi dice, uccide ogni potere narcotico. Mi trattengo dal commentare: peccato.

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Foto dell'autrice

E poi: garum, di pesce ma anche di carne, che al ristorante viene abbinato ai fasolari, oppure alle vongole insieme al topinambur e a un curry verde di mandorle. Burro stagionato due mesi con il fieno. Esperimenti con i cereali - tra cui orzo arrostito e segale - che poi diventeranno le basi del pane servito a tavola. Caramelle di aglio fermentato. Si potrebbe passare ore in questa piccola cucina, che definiscono una "bank of ideas".

Ovviamente il team di Loco fa anche foraging, in un parco nell'immediata periferia di Lisbona: “Non esistono erbe specifiche native solo del Portogallo, ma ovviamente piccole differenze ci sono: qui cresce un tipo di menta molto diverso da quella a cui siete abituati in Europa, più simile al finocchio. Ci piace dare alle piante lo spazio che meritano. L'acetosa, ad esempio, è protagonista del nostro sorbetto pre-dessert”.

Foto di Paulo Barata/Vongole, topinambur e noci

Foto di Paulo Barata

Silva è un ex sassofonista. Figlio d’arte - sua madre e suo nonno erano clarinettisti e lui ha iniziato a suonare a cinque anni - ha scelto la strada della cucina tardi, dopo aver abbandonato la musica e aver frequentato una scuola di fotografia. È con una smorfia amara che dice “No, non suono più. Il sassofono l'ho regalato a mio fratello. A non suonarlo perdi i muscoli”. Per una volta, quindi, mi sento autorizzata ad usare la metafora della musica, più che abusata nella scrittura gastronomica: la cena da Loco è una partitura di 18 momentos, una sinfonia in cui i confini tra 'momento del dolce' e 'momento del salato' sono completamente abbattuti e perfino il pane viene servito come portata a sé, con olio, burro fatto da loro e una salsa d'arrosto, servita in un pentolino da cui fare la scarpetta.

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"Si appendono con funi sulle scogliere poi, quando le ondate dell'oceano si ritirano, lui fischia e si calano a testa in giù per staccare i percebes. Devono essere veloci, prenderli prima che tornino le onde alte e li sbattano contro le rocce"

Una serata con i tempi di servizio scanditi in modo impeccabile, dalla musicalità vivace degli snack di inizio - uno su tutti, le cozze con mela e sedano - a quella rotonda e confortevole del dolce: un kefir di latte di capra con gelato alla segale e riduzione di barbabietola. E con questa ho esaurito tutte le possibili commistioni tra lessico musicale e lessico gastronomico, ma spero di avervi tratteggiato un'idea, seppur vaga, della mia cena.

Sorbetto di acetosa/Foto di Paulo Barata

Kefir di latte di capra, gelato di segale e riduzione di barbabietola/Foto di Paulo Barata

L'unico dispiacere, se di dispiacere si può parlare, è che non ci siano i percebes. Il Portogallo ha appena vissuto le due settimane di maltempo peggiori di tutto l'inverno, le condizioni del mare sono improbe e non si possono pescare - o meglio raccogliere - i percebes, che di solito sono una presenza fissa da Loco.

I percebes sono crostacei che vivono nell'Oceano Atlantico, famosi per la loro bruttezza (fatevi un'idea da Google) ma soprattutto per la difficoltà nel reperirli, che li ha avvolti di una sorta di alone mistico. Normalmente costano circa 35 euro al chilo. Quelli che utilizza Alexandre ne costano 100: provengono dall'isola di Berlengas, 80 ettari scarsi, che è nota per avere i migliori percebes di tutto il paese: oltre ad essere più grandi e più cicciotti, sono anche più saporiti (se ve lo steste chiedendo, il metro di paragone della loro bontà sembra essere il sapore di alghe).

La pesca dei percebes/Foto di Paulo Barata

Berlengas si trova a 15 km dalla cittadina di Peniche, ma in questo momento è raggiungibile solo via elicottero: "Nell’isola ci sono un faro, dove c'è sempre un guardiano, e un campeggio e un ristorante che aprono solo d'estate. Il 'mio' raccoglitore di fiducia si chiama Tiago e ha 21 persone al suo servizio. È lui che decide quando si esce e quando no, ed è lui a guidare i raccoglitori. Loro si appendono con funi sulle scogliere poi, quando le ondate dell'oceano si ritirano, lui fischia e si calano a testa in giù per staccare i percebes. Devono essere veloci, prenderli prima che tornino le onde alte e li sbattano contro le rocce". Il pericolo è reale: ogni anno qualche raccoglitore di percebes muore.

Mi riprometto di tornare qui per gustarli con una stagione più clemente. Se c'è un posto dove sono sicura che i percebes vengano celebrati, e il pericoloso lavoro dai raccoglitori onorato, quello è Loco.

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