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Italia

L'esportazione di armi 'made in Italy' è cresciuta vertiginosamente dal 2011 a oggi

C'è un settore del made in Italy che vive tempi floridissimi: è quello delle armi da guerra, che l'Italia esporta a un ritmo impressionante — con un aumento del 48 per cento rispetto a qualche anno fa.
Foto via Federico Feroldi/Flickr

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C'è un settore del made in Italy che vive tempi floridissimi, e pare essersi ripreso completamente dalla crisi: è quello delle armi da guerra, che l'Italia esporta a un ritmo impressionante — con un aumento del 48 per cento rispetto a qualche anno fa.

Questo è quanto emerge dall'ultimo rapporto sul commercio internazionale di armi pubblicato dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), un centro di ricerca internazionale con sede in Svezia.

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Elicotteri da combattimento A-129C Mangusta, cannoni navali Super Rapid, droni spia e sistemi di intercettazione radar sono solo alcuni degli armamenti che l'Italia vende ai propri partner commerciali, esportando sempre di più.

L'Italia figura tra i primi cinque fornitori di armi in Europa occidentale. Questi cinque paesi - con noi ci sono Francia, Germania, Regno Unito e Spagna - detengono il 21 per cento delle transazioni militari internazionali nei quattro anni di riferimento, dal 2011 e il 2015, secondo il rapporto.

Ma c'è di più, ed è un dato che pesa: rispetto al quadriennio precedente, l'Italia ha aumentato le sue esportazioni di armi del 48 per cento.

Numeri che non tengono conto del mercato nero, e fanno riferimento al settore delle major weapons, escludendo dunque "pistole, munizioni di piccolo calibro e armi leggere come i lanciagranate," come dichiara a VICE News Aude Fleurant, direttrice del programma Arms and Military Expenditure al SIPRI di Stoccolma.

"Negli anni l'Italia ha consegnato grandi sistemi di armamento, e sviluppato relazioni con nuovi beneficiari. Il Paese sembra aver tratto giovamento dal generale incremento del commercio di armi, che segna un 14 per cento in più a livello globale, e mostra alcune importanti commesse per il periodo di riferimento," spiega Fleurant.

Secondo il report del SIPRI, l'Italia esporta armi soprattutto verso Emirati Arabi, India e Turchia. Un'analisi che stride solo in parte con quella contenuta da un report elaborato dall'Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre (Cgia) di Mestre pubblicato a novembre 2015 — secondo il quale, infatti, le esportazioni di armi autorizzate dall'Italia extra-Europa si dirigono soprattutto verso l'Africa settentrionale e il Medio Oriente, generando un mercato da 4,8 miliardi di euro.

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Secondo Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell'istituto di ricerche Archivio Disarmo, il Medio Oriente resta comunque il principale punto di arrivo per le armi italiane. "Le guerre e le tensioni in atto sono il motivo primo di questo incremento dell'export nazionale. Diverso è il caso dell'India, grande paese emergente e quindi interessante mercato per tutto il nostro export, compreso quello militare", spiega.

Ma una contestualizzazione più ampia ci permette di individuare altre ragioni che giustificano l'interesse indiano per gli armamenti italiani. Come sottolinea Simoncelli a VICE News, "non bisogna dimenticare che l'incremento delle spese militari cinesi provoca di conseguenza un'analoga politica nel governo di Nuova Delhi, che inoltre permane in stato di tensione con Islamabad per l'irrisolta questione della sovranità del Kashmir, oltre che per la presenza di terroristi sul territorio del Pakistan. Infine non va dimenticato che ambedue i paesi sono armati nuclearmente e al di fuori del Trattato di Non Proliferazione Nucleare."

Foto di Maurizio Zanetti via Flickr in Creative Commons

Chi esporta le armi italiane

Il settore delle esportazioni di armi in Italia è dominato per la maggior parte da aziende "possedute o in varia misura partecipate dal Gruppo Finmeccanica", così come si legge in un documento ufficiale del governo.

"Agusta Westland, Alenia Aermacchi, Selex ES, GE AVIO, Elettronica, Oto Melara, Piaggio Aero Industries, Fabbrica d'armi P. Beretta, Whitehead Sistemi Subacquei e IVECO" sono "ai primi dieci posti per valore contrattuale delle operazioni autorizzate", si legge nel documento, riferito all'anno 2014.

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Ma i nomi, anche nel 2016, sono sempre gli stessi. Di recente, ad esempio, la Piaggio Aero Industries ha sottoscritto un accordo del valore di 316 milioni di euro con le forze armate degli Emirati Arabi Uniti per la vendita di otto P.1HH, droni militari non armati di ultima generazione.

O ancora, Finmeccanica ha chiuso un contratto con l'aviazione indonesiana - di cui non si conosce l'importo totale - per equipaggiare i suoi velivoli da guerra del sistema radar SEER.

Similmente, il governo italiano avrebbe stilato un pre-accordo con il Kuwait per la fornitura di 28 caccia Eurofighter. La firma definitiva con Finmeccanica è slittata più volte in questi mesi, ma qualche settimana fa l'amministratore delegato Mauro Moretti ha rassicurato di essere vicino alla chiusura della trattativa con il Kuwait. Anche perché i numeri sono molto rilevanti: in ballo ci sarebbero ben 8 miliardi di euro, la metà dei quali spetterebbero a Finmeccanica.

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Negli anni, di affari così ne abbiamo già fatti diversi: "Nell'ultimo decennio agli EAU abbiamo venduto navi (1 fregata e 2 corvette), 15 elicotteri AW139, 100 missili antinave Marte2, 6 radar per il controllo del tiro, 6 cannoni navali Super Rapid 76mm, 25 siluri A244, mentre all'India 98 siluri Black Shark, 6 radar per il controllo del tiro, 6 cannoni navali Compact 76 mm, 125 siluri A244, 23 cannoni navali Super Rapid 76 mm, 3 radar di ricerca aerea RAN-30X, 13 cannoni navali 127/64LW," spiega a VICE News Simoncelli.

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E non finisce qui, perché avremmo venduto alla Turchia anche "59 elicotteri da combattimento A-129C Mangusta, 22 cannoni navali Compact 40L70, 2 cannoni navali Super Rapid 76 mm, 6 cannoni navali Compact 76mm, 5 elicotteri Bell-412, 2 aerei da trasporto ATR-72."

A quali paesi possiamo vendere armi?

Ma che sia un fucile, un elicottero da guerra o una cassa di proiettili, per fare arrivare questa fetta di made in Italy all'estero bisogna muoversi tra i cavilli di una legge pensata apposta per il settore.

Le esportazioni di armi sono infatti regolate dalla 185/1990, che ha introdotto una serie di limitazioni e prevede che arrivi all'azienda l'autorizzazione del Ministero degli Esteri. Il divieto di vendita scatta - come si legge al punto 6 dell'articolo 1 - "verso i Paesi in Stato di conflitto armato in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite", in caso di contrasto con l'articolo 11 della costituzione - dove si dice che "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli" - e verso i paesi "nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea o da parte dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa".

In più, si legge sempre al punto 6, è vietato vendere armi a Paesi "i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'UE o del Consiglio d'Europa".

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Secondo Simoncelli di Archivio Disarmo, la legge conterrebbe però "delle clausole che permettono ai nostri governi di aggirare facilmente l'ostacolo, stipulando accordi con paesi in guerra o limitandosi a non operare solo nei confronti di quelli verso cui vigono embarghi o condanne unicamente ad opera di tre organismi internazionali (ONU, UE, Consiglio d'Europa). Informazioni di violazioni dei diritti umani ad opera di Amnesty International o Human Rights Watch non vengono di fatto prese in considerazione e pertanto l'export prosegue indisturbato."

La 185/1990 prevede inoltre che ogni anno il Presidente del Consiglio fornisca al Parlamento una relazione sulle operazioni di esportazione, importazione e transito di armi avvenute nell'anno precedente. Si tratta di un fascicolo di più di mille pagine e pieno di dati tecnici e tabelle, organizzato - secondo Simoncelli - "in modo tale da non rendere comprensibile che cosa si esporta a chi, il valore, le quantità."

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"Basterebbe una tabella Excel con i nomi delle ditte, il prodotto esportato, la quantità, l'acquirente, il valore, date dei relativi contratti e delle consegne e istituto bancario di appoggio per la transizione finanziaria", spiega Simoncelli.

Il rischio di allargare così tanto le maglie dei controlli semplificando procedure e metodi da una parte, rendendo poco trasparenti passaggi e numeri dall'altra, è quello di spedire arsenali da guerra in scenari molto instabili. È già successo con la Libia, ad esempio, e potrebbe accadere di nuovo.

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Come ricorda lo stesso Simoncelli a VICE News: "Basta pensare agli immensi arsenali di Gheddafi, che sono finiti nelle mani non solo delle varie fazioni avverse, ma anche di quelle dei mercenari tuareg poi rientrati nel Mali - con ulteriore destabilizzazione di quel paese - e di varie forze irregolari presenti nel Nord Africa e nel Medio Oriente, sino ai combattenti siriani."

"Non mi stupirei che le forze dello Stato Islamico in Libia siano armate made in Italy. È successo anni fa con pistole Beretta finite in mano a milizie irachene."


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Foto in apertura di Federico Feroldi via Flickr in Creative Commons