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Italia

Sul reato di clandestinità per il governo vale più la ‘percezione’ che la realtà

La scelta dell’esecutivo si pone in contrapposizione a quanto dichiarato dai massimi esponenti della magistratura italiana: “Il reato di clandestinità non è solo inutile, ma addirittura dannoso.”
Foto via Flickr

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La depenalizzazione del reato di clandestinità è rimandata a data da destinarsi. Dopo una settimana caratterizzata da forti tensioni interne, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato il dietrofront ufficiale del governo.

Il via libera al decreto legislativo per l'abolizione del reato, già atteso per la giornata di venerdì scorso, non arriverà quindi neanche nel prossimo Consiglio dei Ministri.

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La scelta dell'esecutivo si pone in netta contrapposizione al sentimento dei massimi esponenti della magistratura italiana che nei giorni scorsi avevano ribadito un concetto chiaro: "Il reato di clandestinità non è solo inutile, ma addirittura dannoso perché ostacola le indagini sui trafficanti di uomini."

Come lo stesso Renzi lascia intuire, si tratta però di una valutazione di "opportunità politica" che non ha nulla a che vedere con la reale utilità della norma.

"Il reato secondo gli esperti non serve, crea problemi e intasa i tribunali," ha dichiarato Renzi al TG1 di domenica sera. "Ma è anche vero che c'è una percezione di sicurezza per cui questo percorso di cambiamento delle regole lo faremo tutti insieme con calma e senza fretta."

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Le affermazioni del premier riprendono le opinioni già espresse nei giorni precedenti dai ministri delle Riforme e dell'Interno, Maria Elena Boschi e Angelino Alfano. Ovvero, il reato di immigrazione clandestina sarebbe effettivamente carta straccia ma una sua cancellazione potrebbe essere vista dal cittadino medio come un pericoloso passo indietro sulla sicurezza.

"Occorre preparare prima l'opinione pubblica," aveva detto il ministro Boschi al Corriere della Sera anticipando il possibile slittamento del decreto. "Non perché abbiamo paura in termini di consensi, ma perché c'è un problema di percezione della sicurezza."

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Allo stesso modo Alfano aveva tranquillamente sostenuto su Repubblica che sulla questione si giocano "due partite intrecciate ma diverse: una sulla realtà e l'altra sulla percezione della realtà."

Quindi, anche se "la realtà dice che i reati calano," la norma non può essere abolita perché "il momento è molto particolare e non dobbiamo dare agli italiani l'idea di un allentamento della tensione sulla sicurezza."

In un clima di paura per ipotetici attacchi terroristici, il timore che l'abolizione del reato possa far migrare i consensi elettorali verso altri lidi sembra essere forte.

Soprattutto, in vista delle elezioni amministrative di maggio dove Matteo Salvini si sarebbe visto recapitare un assist d'oro per dare forza alla sua campagna mediatica. Pronto a cavalcare l'onda del dissenso popolare, il leader della Lega Nord ha infatti già annunciato di voler proporre un referendum per bloccare la depenalizzazione.

"Il governo Renzalfano si prepara a cancellare definitivamente, per decreto, il reato di immigrazione clandestina," ha scritto Salvini sul suo profilo Facebook. "Ma si accorgono di cosa sta succedendo nel mondo? Questi sono matti! La Lega farà le barricate, in Parlamento e poi nelle piazze con un referendum, contro questa vergogna."

Il 'reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato' fu introdotto nel 2009 dal governo Berlusconi all'interno del cosiddetto Pacchetto Sicurezza. All'epoca il ministro dell'Interno era Roberto Maroni, mentre Alfano guidava il Ministero della Giustizia.

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Fin da subito si sollevarono forti dubbi sul reale effetto deterrente del provvedimento. Il reato è punibile con sanzioni che vanno da 5.000 a 10.000 euro, cifre da capogiro per i migranti che sono quasi sempre nullatenenti e, quindi, impossibilitati a pagare.

"Da tutti questi processi lo Stato non solo non guadagna niente ma ci perde," sostiene l'avvocato Guido Savio dell'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione, intervistato da VICE News.

"L'effetto deterrente è pari a zero perchè [a chi non può pagare] non succede niente. Il giudice può anche convertire la sanzione pecuniaria in un decreto di espulsione. Ma non serve a nulla perchè nei confronti di una persona beccata in condizioni di irregolarità partono già due provvedimenti di espulsione, uno amministrativo e uno penale. Quindi si finisce a fare collezione di espulsioni senza che poi ne venga applicata nemmeno una."

Oltretutto, dall'introduzione del reato a oggi, il flusso di migranti diretti verso l'Italia non si è arrestato, ma è cresciuto di anno in anno, complici anche i conflitti in Medio Oriente. In poche parole, l'effetto desiderato dal governo Berlusconi non si è mai trasformato in realtà.

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Dopo lunghe discussioni, nell'aprile 2014 il Parlamento si era espresso favorevolmente alla trasformazione del reato in illecito amministrativo. La palla era quindi passata al governo che avrebbe dovuto rispettare la volontà del Parlamento entro 18 mesi, emanando il decreto legislativo.

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Allo scadere del tempo, a inizio ottobre, del provvedimento però non c'era nemmeno l'ombra.

A riportare l'attenzione sulla questione sono state le dure dichiarazioni rilasciate dagli addetti ai lavori a inizio anno.

L'8 gennaio Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, ha richiesto a gran voce l'abrogazione del reato, che, a sua detta, faciliterebbe il compito di "individuare e colpire i trafficanti di esseri umani."

Le testimonianze dei migranti, spiega Roberti, sono fondamentali per ricostruire la rete degli scafisti. Ma, se diventano loro stessi imputati per il solo fatto di essere clandestini, non possono collaborare alle indagini come persone informate sui fatti.

A fare eco alle sue dichiarazioni è stato Rodolfo Sabelli, presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati (ANM). "Capisco che la politica si faccia carico dei timori della gente," ha detto Sabelli all'ANSA, "ma quando le paure sono populiste e infondate vanno combattute, spiegando come stanno realmente le cose."

L'ultima voce che si è aggiunta al coro è stata quella del capo della Polizia Alessandro Pansa, secondo cui "il problema reale del reato di clandestinità è dato dal fatto che intasa l'attività delle procure."

Nonostante tutto, il reato rimarrà in vigore finché il governo non riterrà che il tempo di mettere la parola fine a questa vicenda sia arrivato. Nel frattempo, però, in molti tribunali italiani non viene già più applicato, come riferisce a VICE News l'avvocato Guido Savio.

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"Per alcuni anni ci sono stati moltissimi processi per questo reato," spiega Savio. "Da un po' di tempo a questo parte però, soprattutto nei grossi centri già intasati di lavoro, è caduto in desuetudine. A Torino, dove lavoro io, sono tre anni che non si celebra più un processo per questo reato. Le priorità delle procure sono altre."

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Foto in apertura via European Parliament in Creative Commons