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Italia

Tutti i problemi della nuova legge sul reato di tortura

Dopo quasi 30 anni l'Italia sta per introdurre il reato di tortura. Ma si tratta di una legge che non accontenta nessuno, specialmente chi per decenni si è battuto per la causa.
Foto di Belluno Più/Flickr

Era il 1988 quando l'Italia ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura e altri trattamenti e pene crudeli.

Da allora si sono seguiti svariati disegni di legge, numerosi richiami e condanne a livello internazionale, culminato col triste capitolo del G8 di Genova e gli altri casi in cui l'assenza di tale reato è risultato determinante.

A quanto pare, però, dopo 29 anni l'Italia avrà finalmente una legge sul reato di tortura—per cui si sta votando in queste ore alla Camera.

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Secondo molti, tuttavia, si tratta di una vittoria soltanto parziale e per cui festeggiare risulterebbe certamente esagerato.

Quella che sta per essere approvata, infatti, sarebbe una legge completamente snaturata rispetto al suo testo originale, frutto di modifiche, strategie politiche e compromessi.

— Luigi Manconi (@LuigiManconi1)July 4, 2017

A dirlo con più forza sono state proprio le persone e le associazioni che negli ultimi anni si sono battute in prima linea perché il reato di tortura venisse introdotto.

Se Luigi Manconi—tra i presentatori del disegno di legge, di cui non rimane quasi più nulla—ha criticato duramente la legge e scelto di astenersi, contro di questa si sono espressi anche il Consiglio d'Europa (che ha invitato l'Italia a modificare la legge in quanto insufficiente e in disaccordo con gli standard internazionali), l'Unione Camere Penali Italiane, Amnesty International e Associazione Antigone.

Per capire meglio quali sono le criticità di questa legge e la posizione di chi da decenni lotta per la causa dell'introduzione del reato di tortura, VICE News ha raggiunto Patrizio Gonnella, presidente dell'Associazione Antigone.

VICE News: Alla fine, dopo trent'anni, avremo una legge sul reato di tortura. Ma perché proprio adesso?

Patrizio Gonnella: "Per stanchezza. Per sfinimento. Perché era inevitabile. Perché superati 30 anni l'ignominia raggiungeva delle vette inesplorate. Perché siamo all'ennesima condanna da parte della Corte Europea dei Diritti Umani nel caso delle persone torturate alla Diaz. Perché siamo in attesa di una nuova sentenza della Corte Europea dei diritti umani riguardo al caso del carcere di Asti."

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"Per evitare l'ignominia di sentenze che a livello europeo si sarebbero replicate, questo atto normativo era necessario. Si tratta di una legge doverosa, fortemente tardiva, e per altro insufficiente."

Ecco, entriamo nel merito della legge. È stata fortemente criticata, specialmente da chi come voi in prima linea si è battuto per la causa. Mi spiega quali sono i punti critici della legge?

"Partiamo dalle basi. Esiste una definizione del reato di tortura, data dalla convenzione delle Nazioni Unite dell'84 e che l'Italia si è impegnata a rispettare nell'88. E da quella definizione ci si può spostare solamente allargando l'area della punibilità, e non restringendola."

"La prima cosa che si nota è che, se nella definizione di riferimento si parla di un reato che può essere commesso dal pubblico ufficiale che con violenza o minacce produca sofferenza quando le persone sono sottoposte alla sua custodia, all'interno della proposta di legge è invece proposto un testo parzialmente diverso. E cioè può essere un reato commissibili da chiunque e non necessariamente da un pubblico ufficiale."

"Questo è un allargamento e non una restrizione, quindi anche se noi riteniamo che sia culturalmente sbagliato, non rappresenta una divergenza sanzionabile dal testo ONU. Il problema sono le criticità ben più serie."

Ne ha individuate tre, me le elenca?

"La prima criticità è che nella legge si parla di violenze e non di violenza. Cosa significa questo quando ci si trova davanti a un unico atto di waterboarding—tenendo a mente che il waterboarding può essere un atto unico? Come ci si deve comportare? Non sono violenze?"

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"La seconda è che specifica che si deve trattare di un trauma psichico verificabile. Anche qui, capire come interpretare quel 'verificabile' non è facile: è chiaro che tutto deve essere verificabile in un processo, ma volerlo scrivere associato anche ad atto psichico, tenendo conto che l'accertamento giudiziario nei casi di tortura per la natura stessa del crimine avviene anche alcuni anni dopo, ovviamente rende la questione delicata."

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"Infine, il terzo elemento è che non c'è una norma specifica in materia di prescrizione. La tortura è un crimine contro l'umanità che molte volte si inizia a per perseguire quando cambia un regime, quando finisce la condizione di custodia, quindi ha bisogno di tempi lunghi. Invece qui rimaniamo nei termini di una prescrizione ordinaria."

Sia Manconi che Zucca hanno dichiarato che con questa legge parte di ciò che è avvenuto alla Diaz, o anche nella caserma di Bolzaneto, non sarebbe considerato tortura.

"Hanno sicuramente le loro motivazione per dirlo. Dopo di che, io credo che non possiamo saperlo: dipende. Ho visto casi sacrosanti di lesioni personali—non tortura, lesioni personali—che sono finiti con l'archiviazione. Alla fine è tutto nelle mani del giudice."

Considerate tutte le criticità, qual è la posizione di Antigone?

"Il nostro mestiere di attivisti ci dice che da domani il nostro compito è di due tipi. Uno: rispetto ai casi che ci arrivano e che riteniamo siano riconoscibili come tortura, proveremo a far sì che i giudici applichino la legge—si tratta di una legge pessima, brutta, ma noi lavoreremo per farla applicare là dovere riteniamo si possa fare. Inoltre, cercheremo di migliorarla, per via legislativa e giudiziaria."

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Detto onestamente, non c'è il rischio che una volta passata la politica non avrà alcun interesse a cambiarla e ci troveremo per decenni con una legge definita quasi all'unisono "brutta"?

"Certo, ma noi su questo purtroppo non possiamo fare niente. Sono anni che con Amnesty International ci battiamo per una legge sulla tortura. Abbiamo detto che questa legge non basta, e non siamo stati ascoltati, la politica è stata sorda, colpevolmente e dolosamente, e anche strafottente. Chi non vuole punire un torturatore si mette al pari di un regime."

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Crede che questo brutto testo sia esclusivamente da attribuire a giochi politici?

"Sicuramente. È stato un gioco del tutto politico, un tentativo goffo di precostituire ipotesi di impunità e di tentare di fare favori alle forze dell'ordine, che premevano fortemente su questo terreno. Nient'altro: non a caso all'ultima audizione in Senato sono stati ascoltati solo i capi delle forze di polizia e le magistrature, non le associazioni."

C'è la sensazione che ci sia stato anche poco interesse da parte della società civile.

"Confermo. Tranne Antigone, Amnesty e di recente "A buon diritto", per il resto poca roba. Il mondo accademico, per esempio, in vent'anni si è tenuto fuori dal dibattito, per questo mi fido poco degli appelli fatti all'ultimo. Purtroppo è considerato un tema di secondo piano."

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Da parte invece delle forze di polizia, crede che ci siano stati dei segnali di una maggiore sensibilità verso il tema negli ultimi tempi?

"Nel tempo qualcosa c'è stato: secondo me se si arriva all'applicazione della legge—seppur brutta—è perché comunque una mini apertura c'è stata. Però ci sono due cose che le forze dell'ordine potrebbero fare per fare immediatamente un grosso passo avanti in questo senso: inserire i codici identificativi per chi svolge attività di ordine pubblica, e procedere con provvedimenti disciplinari. Per queste cose non serve un cambiamento legislativo."

In conclusione, dopo una lotta di 30 anni, oggi prevale la soddisfazione o l'amarezza?

"Purtroppo l'amarezza. Tanti anni di lotta su questo terreno, tanta melina parlamentare e poi si arriva a un risultato così, quasi per dirci che non possiamo cantare vittoria. Sarei ipocrita a dire che non prevale l'amarezza, ma al tempo stesso non vogliamo ritirarci. Proveremo a utilizzarla, altrimenti facciamo il gioco di chi non la voleva."

"Quando la legge verrà approvata, noi chiediamo che ci sia una comunicazione da parte delle istituzioni che trasmetta un messaggio molto chiaro: cioè che non dica che era giusto inserire il reato di tortura perché è un reato mafioso. Questa legge non ha nulla a che vedere con la mafia."

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Foto in apertura di Belluno Più/Flickr, rilasciata su licenza Creative Commons

Foto utilizzata sui social: Mattia Boero/Flickr, rilasciata su licenza Creative Commons