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referendum 17 aprile

Tutto quello che c'è da sapere sul referendum sulle trivelle del 17 aprile

Il 17 aprile gli italiani voteranno nel primo referendum lanciato su iniziativa delle regioni. Abbiamo cercato di capire perché si vota, quali sono le posizioni dei partiti e cosa ha scatenato le recenti polemiche.
Foto di Berardo62 via Wikimedia Commons

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Il 17 aprile gli italiani saranno chiamati a votare il cosiddetto referendum sulle trivellazioni, la prima consultazione popolare lanciata su iniziativa di alcune regioni italiane.

Negli ultimi mesi la questione referendaria è stata accompagnata da una serie di polemiche di diverso tipo, dalle controversie riguardo alle campagne elettorali agli scontri politici sulla data della consultazione e sulle posizioni dei diversi schieramenti sul voto da dare al referendum.

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Ma su cosa si vota esattamente il 17 aprile, quali sono le posizioni del Sì e del No, e come si è posta la politica nei confronti del referendum?

Cosa chiedono i proponenti del referendum

Il Referendum chiede agli elettori se essi vogliano abrogare o meno una legge che permette di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. A oggi infatti non vengono più concesse nuove autorizzazioni per trivellazioni entro le 12 miglia, ma le società petrolifere possono proseguire con le attività già in corso fino all'esaurimento del giacimento — quindi anche dopo la fine delle autorizzazioni attuali, con una sorta di "proroga di fatto." Di seguito il testo del quesito referendario:

Volete voi che sia abrogato l'art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, "Norme in materia ambientale", come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)", limitatamente alle seguenti parole: "per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale"?

Il referendum non riguarda quindi gli impianti sulla terraferma e quelli oltre il limite delle 12 miglia marine, cioè oltre le acque territoriali italiane.

Secondo quanto riportato da Legambiente, per le acque territoriali italiane al momento sono state emesse 35 concessioni per l'estrazione di idrocarburi. Tre concessioni sono inattive, una è in attesa di una decisione definitiva fino alla fine di quest'anno, mentre cinque impianti nel 2015 non erano produttivi. Le rimanenti 26 concessioni sono produttive e dislocate nell'Adriatico, nello Ionio e nel canale di Sicilia — per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi.

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Il referendum riguarderebbe 21 di queste concessioni, di cui 7 in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia Romagna, una in Veneto e nelle Marche.

Come si legge sul sito del comitato per il Sì, "nello specifico si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa."

Secondo i proponenti, votare Sì al referendum è importante per "tutelare i mari italiani": la ricerca e l'estrazione avrebbero infatti un notevole impatto ambientale sulla flora e la fauna marine, costituirebbero un rischio per la pesca e porterebbero un maggiore rischio di incidenti, che avrebbero conseguenze pesanti anche se di piccole dimensioni in quanto il Mediterraneo è un mare "chiuso."

La proposta referendaria è stata presentata a settembre 2015 da dieci regioni italiane (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto) - diventate nove dopo che l'Abruzzo ha deciso di ritirarsi dal gruppo proponente - che hanno depositato presso la Corte di Cassazione sei quesiti riguardanti le trivellazioni.

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A novembre la Cassazione ha approvato i sei quesiti referendari, ma poco dopo il governo ha apportato alcune modifiche alla legge di Stabilità 2016 riguardanti la questione delle trivellazioni: in particolare, è stato ripristinato il limite delle 12 miglia marine per la concessione delle autorizzazioni per trivellare; le autorizzazioni già concesse non sono più prorogabili; sono stati eliminati il vincolo "all'esproprio della proprietà privata" e la "strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività petrolifere," dichiarazione che escludeva gli enti locali dalle decisioni in merito ad attività di ricerca ed estrazione.

Quindi, in seguito alla modifica del decreto Sblocca Italia, a gennaio la Cassazione ha considerato ammissibile un solo quesito referendario: quello inerente la durata delle autorizzazioni concesse per le trivellazioni. Sempre a gennaio, la Corte Costituzionale ha approvato il referendum sull'unico quesito e, il mese successivo, dopo la firma del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Consiglio dei Ministri ha stabilito la data del referendum per il 17 aprile 2016.

I due fronti: Sì o No?

Al comitato "Vota SI, per fermare le trivelle" hanno aderito diverse associazioni e sindacati tra cui Arci, Confederazione Cobas, Federconsumatori, Fiom-Cgil, Legambiente e Greenpeace, mentre tra le personalità che voteranno sì al referendum troviamo Dario Fo, Erri De Luca, Massimo Bray e il geologo Mario Tozzi.

Secondo l'elenco dei soggetti politici pubblicato dall'Autorità delle Comunicazioni (Agcom) il 17 marzo, sono per il Sì al referendum la Lega Nord, l'Italia dei Valori, SEL e il Movimento Cinque Stelle. Tra gli astensionisti, il Partito Democratico e l'Associazione "Ottimisti e Razionali."

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In particolare, l'Associazione "Ottimisti e Razionali" dichiara sul suo sito internet che il referendum è "strumentale e sbagliato": se si limita la durata delle concessioni, secondo l'Associazione aumenterebbero i rischi per l'ambiente e la sicurezza dei mari, aumenterebbe il numero di petroliere nei mari italiani e, con lo spostamento delle operazioni di estrazione all'estero, ci sarebbero danni per l'impiego e l'economia.

La posizione del PD ha scatenato una polemica interna al partito, con la minoranza che ha chiesto spiegazioni sulla decisione di sostenere l'astensione. Roberto Speranza ha diffuso una nota in cui scrive: "Apprendo dal sito dell'Agcom che il Pd avrebbe assunto la posizione dell'astensione al referendum di Aprile sulle trivelle in mare, mi chiedo come e dove sarebbe stata assunta questa scelta." Non si è fatta attendere la risposta dei vicesegretari del partito, Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, che dichiarano il referendum "inutile" in quanto "non riguarda le energie rinnovabili, non blocca le trivelle, non tocca il nostro patrimonio culturale e ambientale. Serve solo a dare un segnale politico, come hanno spiegato i promotori."

In Forza Italia regna la confusione. Il partito, non presente sulla lista dell'Agcom, continua a rinviare una decisione definitiva sulla questione, anche se sembrano palesi opinioni contrastanti al suo interno. È Renato Brunetta stesso a sottolineare le differenze: "Sulle trivellazioni ci sono diverse sensibilità. Ma stiamo costruendo un percorso comune," avrebbe detto l'ex Ministro secondo il Corriere della Sera. La Liguria del forzista Giovanni Toti e il Veneto di Luca Zaia, alleato di Forza Italia, sono tra le regioni che hanno promosso il referendum.

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Dibattito e polemiche

Oltre alle polemiche interne ai partiti, diverse questioni legate al referendum sono risultate controverse. A partire dalla data della consultazione: il Consiglio dei Ministri ha deciso di non accorpare il voto referendario con le elezioni amministrative che si terranno nei prossimi mesi in diverse zone d'Italia, scontentando diverse fazioni.

I parlamentari delle Commissioni ambiente e attività produttive del Movimento 5 Stelle hanno dichiarato che "il governo è rimasto sordo agli appelli di tutte le associazioni ambientaliste e ha tirato dritto per la sua strada. Si voterà il 17 aprile per il referendum su alcune trivellazioni offshore e non insieme alle amministrative, in un election day che avrebbe tra l'altro fatto risparmiare centinaia di milioni di euro ai cittadini."

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Secondo Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana, la decisione di indire il referendum per la prima domenica utile al voto è una "scelta truffaldina che non consente il tempo sufficiente per aprire nel Paese una discussione ampia che permetta agli italiani di decidere consapevolmente e in maniera approfondita."

Un'altra controversia è stata scatenata dalla campagna pubblicitaria anti-trivelle lanciata dall'agenzia di comunicazione pugliese BeShaped. Il logo usato dalla campagna raffigura una donna a quattro zampe accanto a un pozzo petrolifero, con sotto la scritta "Trivella tua sorella." L'agenzia ha spiegato in un post su Facebook che un loro collaboratore "ha voluto accostare l'immagine della violenza perpetrata ai danni del nostro mare dalle trivellazioni a quella delle violenze subite da un corpo, con una immagine volutamente provocatoria e d'impatto, che servisse a diffondere due informazioni: il 17 Aprile c'è un Referendum; occorre votare sì."

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I comitati No Triv hanno espresso la loro condanna in una nota: "Ci dissociamo e condanniamo fermamente la campagna con una grafica che allude esplicitamente allo stupro. Una comunicazione che non sa veicolare un messaggio in positivo che ha bisogno di richiamarsi alla violenza subita dal mare e che non riesce a uscire dal meccanismo perverso della strumentalizzazione (e umiliazione) del corpo della donna è un fatto gravissimo."


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Foto di Berardo62 rilasciata sotto licenza Creative Commons