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Italia

Dentro lo spaccio di shaboo nella Chinatown milanese

Un network internazionale di narcotraffico con ramificazioni in Romania e Polonia affondava le sue radici a Prato e Milano, nella Chinatown del capoluogo lombardo.
Un maxisequestro di shaboo da parte dei Carabinieri a Roma. [foto via Carabinieri]

Nel quartiere di via Paolo Sarpi, a Milano, dal 2009 una faida sta provocando una vera e guerriglia per la supremazia del territorio.

Protagonisti della faida, a colpi di pistola e di machete, sono la banda dei fratelli Wu, Liang e Jin, e quella capeggiata da Wang Bin, un ragazzo del 1989 nato nella regione dello Zhejiang.

Sembra la sceneggiatura di un remake del film di John Carpenter, invece è cronaca della Milano cinese. Dove le "bande giovanili", così com'erano chiamate qualche anno fa, sono cresciute e (alcune) sono diventate delle vere e proprie organizzazioni criminali, con ramificazioni che dall'Italia portano fino alla Polonia, dov'è arrivata l'ultima indagine del procuratore aggiunto di Milano Luigi Luzi.

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Il risultato finale è stato l'ordine di custodia cautelare per 36 persone firmato dal Gip Anna Magelli: 19 cinesi, un vietnamita e tre romeni. L'accusa, per tutti, è traffico internazionale di droga. Lo stupefacente in questione è la metanfetamina destinata alle comunità di cinesi e filippini di Lombardia, Emilia e Venento.

Cos'è la shaboo?

È shaboo, o crystal meth, la droga della serie tv Breaking Bad, un cloridato di metanfetamina che si vende in "pezzi" simili a granelli di sale grosso. Una droga "etnica", consumata nei karaoke cinesi o nelle discoteche frequentate da filippini.

Secondo l'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA) di Lisbona in Europa i consumatori di anfetamine, categoria di cui fa parte la shaboo, si avvicinano ai 3 milioni all'anno. Un grammo costa ai fornitori un minimo di 30 euro. Il 13 ottobre, gli inquirenti ne hanno sequestrati 3,5 chilogrammi. Al dettaglio, il valore della droga fermata sarebbe stato oltre 2 milioni di euro.

Come accennato l'indagine italiana è arrivata Polonia, e per la precisione a Wólka Kosowska, 25 chilometri a sud di Varsavia. Basta sfogliare le immagini su Google per accorgersi che questa città per i cinesi è l'equivalente della nostra Prato. Le foto dei grandi capannoni hanno tutte una scritta in cinese. In uno di questi si nasconde un laboratorio gestito da diversi vietnamiti ("quelli di Yuenan", il nome Vietnam in cinese), che producono shaboo per clienti in tutta Europa.

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Come funzionava il network di Milano?

A Milano il gruppo dei presunti grossisti era composto da Shi Xiadi, detto A-Di, e Gao Quanlun, detto Gabri. I loro fornitori erano diversi, provenienti sia dalla gang dei fratelli Wu che da quella di Wang Bin. Xiadi era il grossista di riferimento "diretto" per la comunità cinese, mentre per la comunità filippina - sostiene l'accusa - i grossisti erano i Mendoza, famiglia residente in via Bolla, nel quartiere Gallaratese.

In questa rete lavorano anche diversi "freelance" che gestiscono il traffico, lavorano per diversi clienti e si trovano in competizione tra loro. Uno di questi è rimasto senza nome. Nelle telefonate intercettate, alcuni degli indagati si rivolgono a lui come "il Monaco", e le ipotesi paiono supporre che sia nato nel 1981.

Il primo a nominarlo è il fornitore Zhang Peng, classe '93, residente ufficialmente a Barcellona, ma ormai in pianta stabile in quel di Varsavia. Era lui a vendere la droga a Ji Pao Pao, altro fornitore di stanza nel modenese, il cui capo, Hu Jintao, è residente in Ungheria.

Leggi anche: La shaboo è l'ultima droga che sta invadendo l'Italia

È l'aprile del 2014 quando i Carabinieri tracciano gli spostamenti del carico che Zheng Peng ha spedito in Italia, con due corrieri vietnamiti. Dopo aver attraversato il Tarvisio, la prima tappa è Padova. La droga poi passa da Reggio Emilia, dove finisce la sua corsa anzitempo, prima di raggiungere Prato.

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Ji Pao Pao e i due corrieri sono arrestati in flagranza di reato: addosso hanno oltre 900 grammi di ice. Ji Pao Pao si sentiva in pericolo, come si desume dalle intercettazioni telefoniche. Aveva proposto a Zhang e alla moglie di parlare su WeChat per evitare le intercettazioni. Il suo fornitore dalla Polonia scampa quell'arresto (ma non quello più recente del 13 ottobre) perché arriva tardi all'appuntamento all'albergo di Reggio dove avviene la retata: era sceso dal treno erroneamente a Parma.

La storia de "Il Monaco", invece, è ancora avvolta nella nebbia. Gli inquirenti hanno cercato di tracciare i suoi movimenti e risalire così alla sua identità. Ma sull'ultimo degli aerei presi da Milano a Varsavia l'uomo ha viaggiato con un passaporto rubato, facendo così perdere le sue tracce.

Sembra un pezzo grosso, ed è forse il principale piazzista dello shaboo di Wólka Kosowska. Quando ne parla con Ji Pao Pao al telefono, Zhang Peng spera che i vietnamiti non gli riferiscano che anche lui è entrato nel giro.

Shaboo nascosta dentro scatole di biscotti cinesi, rinvenuta nell'ambito di un'inchiesta sulle estersioni ai karaoke della Chinatown milanese (Foto del Comando Provinciale dei Carabinieri di Milano)

La piazza principale di questo network di narcotrafficanti cinesi in Italia, dopo Prato, è proprio Milano. In Toscana era Lin Faqiang, stando alle ipotesi, a gestire un deposito in via Pistoiese. È lui il principale destinatario della droga dall'Europa centrale.

Quando filava tutto liscio e il carico arrivava a Milano, è l'ipotesi dell'accusa, la droga veniva stoccata principalmente in due luoghi: il market Hogkai di via Cogne 16 e un appartamento in via Farini. Titolare della licenza per il market è il grossista Shi Xiadi, ma proprietario del negozio - ufficialmente - è un uomo romeno del 1983, Eugen Enache, detto Sergio. Secondo gli inquirenti nel gruppo di grossisti aveva il compito di consegnare la droga a domicilio.

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È lui stesso a raccontare agli inquirenti come nasce, a Prato, quest'asse Cina-Romania. Il tramite - stando al suo racconto - è una ragazza romena del 1990, M.E., oggi compagna di A-Di. I due, dice Sergio, si sarebbero conosciuti quando la ragazza si prostituiva a Prato, dove risedeva all'epoca anche A-Di. I due si sarebbero poi trasferiti a Milano insieme a Vladiva Cerlinca, un altro romeno, dedito al tratta di prostitute romene per clienti cinesi.

Guarda: Crystal meth e cartelli messicani: la trappola della shaboo nelle Filippine

Tra i clienti di Shi Xiabo c'è anche il capobanda Wang Bin e Dou Fu, uno degli spacciatori della sua batteria. E qui i nomi che s'incrociano sono gli stessi dell'inchiesta di due anni fa, la prima a colpire il violento sistema d'intimidazione costruito a Chinatown, in particolare dai fratelli Wu.

La faida e gli arresti

Wang Bin ha un problema con il gioco d'azzardo. Racconta agli inquirenti di passare parte delle giornate nelle sale gioco, in attesa delle macchine "non vincenti". Quando già sono passati diversi giocatori senza fortuna si piazza lui, certo di poter incassare quello che agli altri non è arrivato.

Bin dice di essere in grado di vincere, con questa tecnica, 3mila euro al mese. Ma le slot da cui "guadagna", dicono gli Wu, non gli appartengono. Così la banda rivale pretende il 30 per cento dei guadagni.

Sono i primi mesi del 2014 quando le visite per "marcare i territori" degli Wu si fanno sempre più frequenti. A marzo c'è il primo "incontro", in cui Wu Liang si presenta ad un karaoke dove ha appuntamento con il rivale armato di machete.

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Anche Dou Fu, il suo spacciatore, riceverà un trattamento simile. Wang Bin rimane illeso perché alla fine riesce a scappare. Il giorno dopo chiama il capo del gruppo rivale: "Sono stato io a chiamarlo," spiega agli inquirenti, "perché siccome in passato siamo stati amici o conoscenti, volevo spiegargli che non c'era bisogno di comportarsi così con me".

Oggi il 27enne è in carcere a San Vittore, così come in carcere sono i suoi rivali Wu, dal giugno 2014. Quell'aggressione è stata la prima di una lunga serie di regolamenti di conti, culminato il 28 febbraio con una sparatoria in via Signorelli, davanti al karaoke Milan Zhiye.

In quell'occasione venne ucciso il titolare del locale, Hu Xipu, un cinese di 36 anni. Pare che non pagasse il pizzo agli Wu, che per questo sono venuti a destargli il negozio, come accaduto più volte in passato negli esercizi commerciali intorno a via Paolo Sarpi.

Nonostante questo le denunce alle forze dell'ordine non arrivano. E finora non ci sono stati collaboratori di giustizia cinesi.

Il nostro reportage: Dentro la più grande comune abitativa di Milano


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