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analisi

Perché secondo gli esperti di terrorismo "siamo solo all'inizio"

In molti ormai ritengono che ci aspettano almeno altri 15 anni di attacchi in Europa—e concedere sempre più libertà personali in favore della sicurezza potrebbe non bastare.
Foto: Dominic Lipinski/PA Wire/PA Images

Tre attacchi terroristici in Inghilterra nel giro di poche settimane. Westminster, Manchester e Londra, di nuovo.

Mentre il califfato del cosiddetto Stato Islamico continua a perdere territorio nell'est della Siria e nel nord dell'Iraq, alcuni giovani europei di cultura musulmana si avvicinano alla visione nichilistica del mondo offerta dall'organizzazione terroristica e continuano a colpire città del continente.

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Dopo ogni attentato, lo schema sembra essere sempre lo stesso: ogni volta, i governi dello Stato colpito continuano a chiedere più sorveglianza, anche quando sembra quasi impossibile poter fare di più—si pensi al Regno Unito stesso, che ha già implementato uno dei sistemi di sorveglianza più invasivi tra gli stati democratici.

Durante il suo discorso di domenica mattina, Theresa May—primo ministro del Regno Unito—ha ribadito il concetto: bisogna "collaborare con gli altri paesi democratici per raggiungere un accordo comune che regoli gli spazi online per prevenire l'estendersi di terrore ed estremismo."

E allo stato attuale i cittadini del Regno Unito sembrano essere con lei: il 68 percento di chi ha risposto a un recente sondaggio sarebbe disposto ad approvare un controllo più invadente delle conversazioni su piattaforme come WhatsApp e Telegram pur di sentirsi più al sicuro.

Eppure, operazioni di questo genere sono state ampiamente criticate da organizzazioni come Open Rights Group, con l'argomento che controllare a tappeto reti di questo tipo rischierebbe di spingere le conversazioni potenzialmente pericolose "negli angoli più oscuri della rete, divenendo ancora più difficili da scovare."

In aggiunta, non è ancora chiaro se un approccio del genere sia davvero efficace, e se fosse stato in grado di aiutare il MI5—i servizi del Regno—a prevenire attacchi come quello di Westminster e Manchester.

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Ad ogni modo, la richiesta di più controlli è presente, condivisa, e sempre più pressante.

Leggi anche: Davvero dobbiamo abituarci a convivere col terrore e coi militari nelle strade?

Se è vero che l'ISIS è il gruppo terroristico che usa e ha usato più di tutti la rete per le proprie comunicazioni—sia per radicalizzare individui vulnerabili che per organizzare concretamente gli attacchi—è pur vero, dall'altro lato, che gli analisti del settore sono estremamente divisi sull'aumento sostanziale dei controlli sulle piattaforme web.

Da un lato, infatti, molti sostengono che le aree di internet non governate—come quelle offerte da parti dell'Afghanistan, del nord della Siria e del Sahel—abbiano dato ai jihadisti lo spazio sicuro e libero per organizzarsi.

Tra questi c'è il professor Thomas Hegghammer, norvegese ed esperto di jihadismo, che ritiene che in pochi abbiano effettivamente capito che "i jihadisti hanno goduto della libertà in rete per diverso tempo, espandendosi negli ultimi cinque anni." Adesso, spiega a VICE, "i governi stanno parlando di riottenerne solo una minima parte: di certo non aiuterà a risolvere il problema, ma è già qualcosa."

Dall'altro lato c'è chi, di tutt'altro avviso, pensa non solo non sia abbastanza, ma sia persino svantaggioso. Il professore del Kings College di Londra Peter Neumann, dell'International Centre for the Study of Radicalisation, ritiene che le relazioni faccia a faccia "siano ancora essenziali. Reti come quella di Manchester e Portsmouth esistono perché quelle persone si conoscevano da anni. Radicalizzarsi fino alla violenza richiede fiducia nel proprio gruppo, cosa che presuppone rapporti personali molto molto stretti."

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It has emerged one of the — LEAVE.EU ???????? (@LeaveEUOfficial)June 5, 2017

In sostanza, la sorveglianza online potrebbe aiutare fino a un certo punto, ma non sarebbe in grado di risolvere il problema da sola. E il problema è che la minaccia terroristica è già ad uno stadio avanzato, in grado di superare diversi livelli di controllo statale.

Qualche dato: i cittadini britannici che si sono uniti all'ISIS in Siria e in Iraq sono circa 850, e si pensa che la metà di loro siano già tornati.

Ad oggi, i servizi segreti avrebbero sventato 18 potenziali attacchi dal 2013—cinque solo nel periodo intercorso tra quello di Westminster e quello di Manchester—con un potenziale jihadista composto da 23mila unità. È importante tenere in considerazione, inoltre, il fatto che le autorità hanno la forza di tenere sotto controllo solo 3mila alla volta.

Un esempio: lo stesso attentatore di Manchester era stato segnalato almeno cinque volte dalla comunità musulmana locale. Ma non era tenuto sotto sorveglianza, proprio a causa della mancanza di risorse. Da qui la profondità del problema.

Cordone di polizia attorno all'area di London Bridge, domenica 4 giugno 2017. [NurPhoto/SIPA USA/PA Images, via VICE]

Aumentare il numero di dati da controllare per sventare attentati terroristici sarebbe impossibile senza un controllo a tappeto in grado di raggiungere livelli di totalmente inediti per uno stato non totalitario.

Eppure non si riesce ancora a capire quali possano essere le altri opzioni percorribili. Manchester, London Bridge e Westminster—insomma—rischiano di offrirci un panorama tanto buio quanto verosimile per il futuro dell'Europa.

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Come segnala il professor Neumann: "Abbiamo a che fare con una mobilitazione generazionale. Le conseguenze di cosa è successo in Siria negli ultimi cinque anni non si sono ancora estinte, e ce le porteremo dietro ancora negli anni Venti e Trenta di questo secolo. Siamo ancora all'inizio."

Hegghammer concorda, aggiungendo che la minaccia terroristica probabilmente "continuerà a essere così forte finché gli attivisti che hanno aderito alla lotta in questo decennio continueranno a essere così politicamente attivi—quindi per i prossimi 15-20 anni almeno."

Parlando con VICE, il professore ha spiegato che questo lasso di tempo è "un periodo in cui possiamo persino aspettarci la mobilitazione di altre nuove centinaia di radicalizzati che sono stati imprigionati negli ultimi anni. Mi aspettano abbraccino il jihad, coi loro amici, almeno per tutti gli anni Venti."

Leggi anche: L'Italia è davvero preparata ad affrontare attentati come quelli di Parigi e Londra?

La realtà, insomma, è che il livello di sicurezza delle città europee non è mai stato così direttamente collegato alla stabilità del quadro mediorientale.

Finché la regione conoscerà solo guerra e sangue, non potranno che crearsi spazi in cui gruppi terroristici possono organizzarsi, e ispirare sparute minoranze di musulmani in Occidente a vendicare la propria gente.

La gente comune, in buona sostanza, rischia di dover imparare a conviver con l'ombra del terrore jihadista addosso, considerando che la situazione in Medio Oriente sembra lontana dall'essere risolta.

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Ma c'è qualcosa che si può provare a fare? O dobbiamo arrenderci a questo scenario?

Per Neumann, autore di Radicalised: New Jihadist and the Threat to the West, le attuale politiche anti-terrorismo stanno sostanzialmente funzionando, ma hanno bisogno di passare al livello successivo.

"Servizi di sicurezza e polizia necessitano di più capacità, di lavorare di più sulla prevenzione. Non dimentichiamoci che in Francia e in Belgio il problema è anche più grosso che in UK, dove le cose stanno andando paradossalmente bene—dal punto di vista del contingentamento della minaccia terroristica—malgrado gli attacchi delle ultime settimane sembrino dire il contrario."

Secondo il professor Hegghammer, sarebbe necessario implementare una specie di Piano Marshall "condotto dall'Unione Europea per promuovere l'istruzione nelle zone maggiormente abitate da migranti; più soldi per i giovani legalmente impiegati nel mondo del lavoro; sentenze più aspre per reati legati al terrorismo; leggi contro il foreign fighting; controlli biometrici ai confini dell'Unione. E questo solo per mitigare la situazione, non per risolverla."

"Nel lungo termine—continua—si può prevedere questo: sorveglianza più pressante e un generale senso di tensione—un po' come in Francia oggi, ma perenne. È in casi del genere che dobbiamo inventarci qualcosa, anche ripescando idee che abbiamo sempre scartato."

We are all shocked and angry today - but this is our city. We will never let these cowards win and we will never be cowed by terrorism. — Sadiq Khan (@SadiqKhan)June 4, 2017

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Circa 15 anni fa, quando la minaccia in Occidente da Oriente era portata da Osama Bin Laden sotto forma di VHS, il fondatore di al Qaeda promuoveva una strategia di conflitto continuo tra l'Ovest e il mondo Islamico nota come estinzione della cosiddetta "zona grigia"—ossia di quell'area di coesistenza fra le minoranze musulmane e le maggioranze non-musulmane, da minare attraverso atrocità e violenze che aumentino i contrasti tra civiltà e annullino le possibilità di pacifica coesistenza.

Ecco: questa strategia sta funzionando, adesso, proprio attraverso l'interpretazione che ne ha fatto l'ISIS applicandola all'Europa: basta vedere la reazione delle destre ogni volta che si assiste a un nuovo attacco, con l'appiattimento del terrorismo a tutto l'Islam—lo scenario politico, peraltro, è anche figlio di questo schema, con la prepotente ascesa delle destre xenofobe in tutta Europa.

Come spiega Hegghammer, "continuare così—con lievi interventi politici—ci porterà a uno scenario piuttosto prevedibile nel quale in Europa le intelligence avranno un ruolo preminente, e il sentimento anti-islamico ghettizzerà ancora di più le classi di origine migratoria."

"Il vero rischio terrorismo è psicologico e politico, oltre che fisico," continua Neumann. "Guarda a come si è polarizzata la società francese."

In sostanza, non è detto che l'Europa sia in grado di ricreare un'armonia sociale decente, né che una sorveglianza online più pressante—come richiamato da Theresa May—possa davvero servire a risolvere ogni problema.

Ad oggi, oltre agli editoriali dei giornali e ai commenti sui social, non ci restano che due opzioni—in questo triste e oscuro futuro prossimo: andare avanti come niente fosse sperando per il meglio, o accucciarsi per terra e aspettarsi il peggio.


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Foto: Dominic Lipinski/PA Wire/PA Images, via VICE