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Come dobbiamo comportarci con le tribù mai contattate?

In Amazzonia ci sono circa 100 tribù mai contattate. Ma con l'avanzare della civiltà industriale e il restringersi della foresta, secondo alcuni preservarle non è la soluzione.
Image via YouTube

Nel giugno del 2014, sette membri della tribù Chitonawa sono emersi dalla foresta tropicale dell'Amazzonia. Nudi eccetto che per un perizoma, hanno cominciato a comunicare dall'altra parte del fiume con la gente del piccolo villaggio di Simpatia, situato in una regione protetta del Brasile abitata da un gruppo indigeno chiamato Ashaninka.

In un video dell'incontro girato da uno dei locali, i Chitonawa appaiono inizialmente prudenti; uno di loro brandisce un fucile, trovato probabilmentein un campo di disboscamento in Perù. Dopodiché un uomo di Simpatia attraversa il fiume, offre loro delle banane, e la gente della tribù alla fine entra nel villaggio.

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Secondo i media locali, i Chitonawa si sarebbero lamentati di "litigi fra loro." Descritti come "molto spaventati," gli indigeni - che a quanto pare sarebbero lontani circa 90 chilometri dalla loro casa nella giungla peruviana - aggiunsero di essere stati "costantemente molestati e uccisi dai bianchi," molto verosimilmente narcotrafficanti e disboscatori illegali che avevano invaso il loro territorio.

I Chitonawa escono dalla foresta nei pressi di Simpatia.

"[Secondo i Chinotawa] sarebbero morte talmente tante persone che non sono riusciti a seppellire tutti, e i loro cadaveri sono stati divorati dagli avvoltoi," ha spiegato uno degli Ashaninka.

Quello che gli indigeni non sapevano, però, è che il semplice fatto di stare attorno a chi vive al di fuori della loro tribù, Ashaninka compresi, sarebbe potuto essere loro fatale. Quando nel video uno dei Chitonawa afferra una t-shirt dalla ringhiera di una capanna Ashaninka, un altro membro del villaggio urla "No! No! No! No!": le grida non erano dovute al rischio di perdere la maglietta, ma al fatto che questa, carica di microbi e agenti patogeni relativamente inoffensivi nel mondo "esterno," avrebbe potuto uccidere i Chitonawa.

Stando alle cifre fornite a VICE News dall'antropologo Rob Walker, assistente dell'Università del Missouri che studia le culture amazzoni, 117 epidemie avrebbero ucciso tra il 1875 e il 2008 più di 11mila membri di società indigene dell'Amazzonia. Di queste, il 75 per cento è morto di morbillo, malaria o influenza. Le circa 100 tribù odierne, mai contattate e isolate, sarebbero totalmente prive - o quasi - di immunità.

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L'agenzia che protegge gli indigeni per conto del governo brasiliano, la Funai, inviò presso i Chitonawa un gruppo di medici per prevenire malattie. Alla fine tutti e sette contrassero raffreddore e influenza e, sebbene riuscirono a sopravvivere, i dottori della Funai continuano a temere il fatto che morbillo e polmoniti potessero presto prendere piede e divenire potenzialmente fatali.

Per ragioni di sensibilità culturale, e per i rischi di catastrofe biologica, i governi di Brasile e Perù preferiscono evitare i contatti con queste tribù, tanto che sono state create aree protette tecnicamente off limits per chi viene da fuori. La posta in gioco è alta: a rischio sarebbero i mezzi di sussistenza, e la vita stessa, di molte persone.

In una pubblicazione per l'American Association for the Advancement of Science, Walker e il suo partner di ricerca Kim Hill hanno spiegato che lo status quo sarebbe stato un incredibile fallimento, e che le tribù non contattate non hanno alcuna possibilità di sopravvivere alle minacce moderne che invadono il loro territorio. Le grandi aziende vantano lobby influenti, e i trafficanti di droga - come quelli sospettati di aver attaccato un avamposto della Funai nel 2012 - non prestano molta attenzione alle normative del governo. Di conseguenza, secondo Walker e Hill, un "approccio controllato" sarebbe l'unica alternativa valida dal punto di vista etico e umano.

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"Per noi le prove sono chiare: queste persone si estingueranno mentre il mondo starà a guardare."

Ma non tutti sono d'accordo. Survival International, una no profit londinese che protegge i diritti degli indigeni, ha definito la pubblicazione di Walker e Hill "pericolosa e ingannevole."

"Non credo che Walker e Hill esprimano un'opinione ampiamente condivisa tra chi è a conoscenza della questione," ha spiegato il direttore di Survival International Stephen Corry. "In pratica stanno dicendo 'Andiamo lì e stabiliamo questi cosiddetti approcci controllati,' che detto in altre parole significa 'Andiamo e prendiamoci la loro terra.'"

Secondo Corry, come spiegato a VICE News, c'è una ragione ben precisa dietro questa spinta per un contatto: è la società industriale che tenta di espandersi. Questo, ha continuato, "spiega in qualche modo perché queste persone debbano 'mettersi al passo col mondo moderno' o comunque si definisca. Ma secondo noi non c'è davvero nulla di particolarmente 'moderno' nella società industrializzata."

Guarda 'Fighting the Amazon's Illegal Loggers' di VICE News

Sebbene la definizione di "non contattati" sia molto comune, diversi attivisti concordano sul fatto che gli abitanti delle tribù siano in realtà dei rifugiati che hanno deliberatamente deciso di distaccarsi dal resto del mondo. Secondo Corry non c'è nulla di "arretrato" nelle vite di chi vive senza essere mai contattato dall'esterno. Semplicemente, "hanno intrapreso un percorso diverso."

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"Queste persone rappresentano un modo alternativo di relazionarsi col mondo, e sembra che le élite politico-industriali contemporanee non riescano a capacitarsene," ha spiegato. "Gli stati industrializzati di oggi cercheranno di prendersi la loro terra e qualsiasi altra cosa vogliano—e ci riusciranno sicuramente, se ignoriamo la cosa e la accettiamo come inevitabile."

Walker riconosce comunque che molte persone concordano pienamente con il punto di vista di Corry e Survival International.

Ma "è semplicemente sbagliato," ha spiegato. "Loro sono attivisti, noi scienziati."

Così se i favorevoli all'approccio "zero contatti" hanno a cuore la "sopravvivenza culturale," spiega Walker, ai pro-contatti interessa la "sopravvivenza degli individui." E l'antropologo crede che ciò sia ancor più vero, se solo si avesse idea di quanto sia dura la vita quotidiana delle realtà pre-contatto.

"Immagina se la tua famiglia fosse minacciata da narcotrafficanti, disboscatori o minatori," ha aggiunto Walker. "Sarebbe sufficiente cercare di tenere [questi gruppi] al sicuro? Negheresti alla tua famiglia i vantaggi di una moderna medicina?"

Nixiwaka Yawanawa è membro della tribù amazzone Yawanawa, contattata per la prima volta due generazioni fa. Gli Yawanawa sono molto isolati, tanto che la strada più vicina dista un giorno di navigazione in motoscafo. Hanno internet, e riforniscono la Aveda di annatto - un pigmento rosso ricavato dai semi dell'albero di achiote - per la produzione di cosmetici di alto livello. Nixiwaka, che talvolta si fa chiamare "Joel," negli ultimi quattro anni ha vissuto a Londra.

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Nixiwaka Yawanawa (Foto di Helen Saunders/Survival)

"Non abbiamo guadagnato granché dai contatti con gli occidentali," ha spiegato a VICE News. "A causa dell'influenza occidentale abbiamo quasi perso la nostra spiritualità, la nostra cultura, la nostra identità. E stiamo ancora combattendo gli effetti del materialismo, delle malattie, e della separazione."

Nixiwaka, che si oppone ai contatti controllati, dice di passarsela bene in Europa, e che da qui può dare una mano a formare una consapevolezza per ciò che riguarda gli Yawanawa.

"Molti mi hanno detto che vivere nella foresta non è qualcosa che tornerebbero volentieri a fare, sebbene le vecchie generazioni spesso riecheggino i bei tempi andati," ha spiegato Walker.

Secondo Walker, le tribù indigene possono sopravvivere alle interazioni con gli altri se quelli che stanno cercando il contatto si impegnano a garantire cibo, traduttori e presidi medici 24 ore su 24 finché necessario. Ipotesi dispendiosa, specie se si pensa al fatto che molti governi del Sud America non hanno grandi disponibilità economiche. Walker tuttavia si riferisce a storie di successo come quella della tribù dei Puerto Barra Aché del Paraguay. Contattati negli anni '70 dal missionario americano Rolf Fostervold, agli Aché fu garantito supporto e cure mediche dalla moglie del missionario, Irene, e dai suoi due figli. Solo 28 Aché morirono come conseguenza del contatto.

Uno dei due figli, Bjarne Fostervold, faceva parte di una di queste prime spedizioni. Oggi 56enne, Bjarne vive con gli Aché - che ad oggi sono circa 200 - con sua moglie Rosalba e i suoi tre figli. Definisce le varie ONG "ben intenzionate," ma spiega a VICE News che "sperare che i nativi non entrino mai in contatto con chi viene da fuori è un po' semplicistico e forse un po' troppo romantico."

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"L'Occidente non sempre offre soluzioni per la vita di ognuno, e allo stesso tempo chi vive nella foresta deve fare i conti con i propri problemi," spiega Fostervold.

Sempre secondo Fostervold, contatti monitorati rigorosamente sarebbero comunque meglio delle conseguenze, quasi certamente negative, di un incontro non pianificato. Inoltre, dato l'isolamento totale, se un intero popolo scomparisse non lo verrebbe a sapere praticamente nessuno.

"La foresta si sta restringendo, e le tribù mai contattate non sanno dove andare," spiega Fostervold. "C'è un gruppo qui in Paraguay che non vuole uscire, ma i bulldozer stanno entrando nel loro territorio. A che punto arriverà la tragedia? Non è che col pretesto della protezione stiamo facendo esattamente l'opposto?"


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