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Nel mondo c'è chi ha smesso di lavorare e vive felice. E non sei tu

Francesco Narmenni gestisce un blog in cui spiega "come vivere senza lavorare." Abbiamo parlato con lui di risparmio, metodi di guadagno alternativi ed etica del lavoro.
Niccolò Carradori
Florence, IT
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Francesco Narmenni. Foto per gentile concessione dell'intervistato.

Finalmente sei in vacanza, e dopo un anno intero di partecipazione alla grande ruota lavorativa del capitalismo puoi goderti qualche giorno di riposo.

Ovunque tu sia, e qualsiasi cosa tu stia facendo, però, c'è una certezza: fra poco si ricomincia. Tutte le esperienze che puoi fare, tutto il cibo esotico che puoi provare, tutto il riposo che ti puoi concedere, avranno presto fine, e quando sentirai approssimarsi l'ora del rientro magari ti chiederai, "Ma perché non posso smettere di lavorare?" Per ora l'unico modo realistico per farlo sembra essere quello di andare in pensione, ma visto che abbiamo iniziato a comprendere che forse il sistema previdenziale potrebbe sparire, anche questa opzione è in pericolo. Nel mondo, però, esistono anche giovani che hanno già smesso di lavorare, e non sono dei baby pensionati.

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Francesco Narmenni è un 41 enne trentino, ex programmatore informatico laureato in Fisica, che da sei anni ha completamente smesso di lavorare, e da allora gestisce il blog (con relativo canale YouTube) "Smettere di lavorare". Sposato con una ricercatrice universitaria (che ha abbandonato il lavoro come lui), e con due figli piccoli, dopo 15 anni di lavoro Francesco ha deciso che ne aveva abbastanza: della lontananza continua dalla famiglia (lavorava spesso lontano d casa), dello stress che si accumulava per i troppi impegni, della sensazione di investire tanto tempo ed energie per un lavoro con gli fruttava uno stipendio di 1500 euro e non gli dava autonomia.

Così ha messo a punto un sistema di economia domestica che gli consentisse di limitare le spese, e ha cominciato a sperimentare metodi alternativi per guadagnare denaro (io l'ho conosciuto proprio perché mi stavo occupando di uno di questi, il matched betting). Da queste esperienze ha tratto anche tre libri, fra cui appunto il più famoso: Smettere di Lavorare.

L'ho contattato nuovamente per farmi spiegare come si campa senza un lavoro e quali sono i consigli che darebbe a chi vuole iniziare il suo percorso.

VICE: Partiamo dall'inizio: nel 2013 hai deciso di lasciare per sempre il mondo del lavoro e lo stress annesso. Tutto bello, ideale, fantastico. Ma come funziona davvero?
Francesco Narmenni: All'inizio devi pianificare. Io mi presi un anno di aspettativa, e studiai vari sistemi di sostentamento, calcolando nei minimi dettagli le spese necessarie e tagliando quelle superflue. Alla fine capii che l'unica soluzione era l'autoproduzione. Per le spese alimentari si sceglie di cucinare solo con ingredienti base e coltivare l'orto, mentre il riscaldamento e l'elettricità si taglia la legna nel bosco, per esempio. Al termine di quella fase io e mia moglie abbiamo visto che era possibile vivere mantenendo dei costi fissi che non superassero 500 euro al mese. Prima di abbandonare ufficialmente il lavoro avevo inoltre aperto il mio blog, dove raccontavo di questi miei propositi. Era un'epoca molto buona per i blog, arrivavo anche a mezzo milione di contatti mensili, e i guadagni spesso erano sostanziosi. Questo mi ha fatto capire che attraverso le mie esperienze—con blog, canale YouTube, libri—potevo ottenere i soldi che mi servivano. Nel tempo ho sperimentato diversi di metodi, e oggi le mie entrate sono in media di 600-700 euro mensili.

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Penso che quello che mette più paura a una persona sia come iniziare, però. Tu da che situazione partivi?
Noi partivamo bene, sono sincero. Siamo sempre stati dei risparmiatori di base, anche quando vivevamo in modo "tradizionale", e non avendo avuto io spese fisse per vitto e alloggio [pagate dall'azienda] in poco più di 15 anni di lavoro siamo riusciti a mettere da parte circa 300.000 euro.

Con una parte di quei soldi, grazie anche a degli incentivi regionali per le giovani coppie, abbiamo potuto costruire la nostra casa—e non comprare, che sarebbe stato meno conveniente. Quando abbiamo deciso di smettere di lavorare, quindi, non avevamo né debiti, né affitti da pagare. Ma non è così per tutti: mi arrivano continuamente testimonianze di persone che fanno la mia stessa vita, e sono partite con molto meno.

Adesso come sono organizzate le tue giornate?
È difficile dirtelo, perché sono molto varie. E questa è una cosa importante: ho quasi perso del tutto il concetto di routine. Ci sono ovviamente attività che devi svolgere tutti i giorni nell'autoproduzione—fare il pane, rinfrescare la pasta madre, prenderti cura dell'orto, cucinare—ma non ti prendono più di tre-quattro ore al giorno.


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Hai una specie di programma per il futuro? Come ti sei organizzato per cose come la pensione, o i possibili imprevisti?
Su alcune cose sono organizzato, su altre no. La pensione, ad esempio, non la prenderò. Non avendo lavorato 20 anni, non ho il diritto nemmeno alla minima. Abbiamo trovato una soluzione però: con la restante parte dei nostri risparmi abbiamo comprato un appartamento sull'isola di Fuerteventura, alle Canarie. E quando saremo anziani, andremo a vivere lì e affitteremo la casa in cui viviamo ora. O viceversa. Quella sarà la nostra pensione.

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E se qualcosa andasse storto? Non hai mai paura di cosa può succedere?
Certo che ho paura. Ogni aspetto di questa vita è un'incognita, ma se vuoi essere libero c'è ovviamente un prezzo da pagare. La decisione è stata questa: la vita che conducevo prima mi rendeva infelice, e avevo un forte interesse a perseguire la mia felicità. Ho scelto di vivere bene oggi, e di accettare le conseguenze che questo comporta. Quando sento salire la paura cerco di ricordarmi quanto stavo male prima, e così vado avanti.

Ci sono mai cose del mondo normale, del consumismo, che ti mancano? Andare a cena fuori o a bere per provare qualcosa di nuovo, il cinema?
No, è l'esatto opposto. Ormai dopo tutti questi anni sono entrato in un meccanismo esattamente contrario: essendo la mia vita soddisfacente alla base, non ho bisogno di piccoli piaceri per compensare.

Per alcuni però quegli oggetti, quei ristoranti, sono semplicemente esperienze che vogliono fare. Ed è interessante capire questa cosa: tu hai due figli, come faresti nel caso in cui loro dovessero voler vivere una vita diversa?
Mia figlia più grande ha sette anni, quindi ancora non ha quell'autonomia nei desideri. Per ora cerchiamo di insegnarle questo stile di vita, spiegandole che i giocattoli che lei vorrebbe comprare nei negozi se li dimenticherebbe cinque minuti. Ma sono anche cosciente del fatto che quando diventerà adolescente sarà più difficile.

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Ti senti mai in colpa per questa scelta?
No, assolutamente, credo che questo sia il modo di cambiare il mondo in cui viviamo.

Hai mai pensato che questo stile di vita sia una scelta che possono perseguire in pochi? Che sia una nicchia che è proprio il sistema a consentire, perché la massa continua a lavorare? Se facessero tutti così non cadrebbe soltanto il consumismo, ma anche l'apparato stesso della convivenza civile. Anche scendendo nel campo dell'automatismo: sovvertendo l'etica del lavoro non ci sarebbero neanche incentivi a fare in modo di creare un sistema automatizzato…
Allora innanzitutto secondo me bisogna capire questo: l'etica del lavoro non è un'etica di per sé. È etico vendere le sigarette al tabacchino? È etico vendere i gratta e vinci? Sono lavori utili per la società? Già capire che nel mondo in cui viviamo esiste una larga fetta di mercato del lavoro pensato unicamente per generare profitti e non per per la propria utilità (spesso sono dannosi) al genere umano è importante secondo me. Iniziamo a distinguere.

Immaginiamo quindi che tutte le persone prendano questa coscienza, e comincino un percorso di riduzione dei propri bisogni. Vivere di autoproduzione, limitare sempre più il consumismo, eccetera. Secondo me nell'immediato in pochi potrebbero farlo, ma via via che la massa di quelli che si sottraggono aumenta, il sistema comincia a cambiare. Perché certe aziende basate unicamente sul mercato si troverebbero di fronte a una mancanza di domanda: se riduci le ore di lavoro, riduci di conseguenza il consumo per limitare le uscite, e quindi riduci l'impatto che hai sulla circolazione del denaro. A quel punto secondo me il mondo pian piano migliorerebbe. E non soltanto: tutti quei lavori di cui parli sarebbero pagati in modo migliore, proprio perché in pochi vorrebbero farli, e visto che sono necessari i salari devono essere molto appetibili. Quindi secondo me è il contrario: la società migliorerebbe, non crollerebbe.

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Poi il tuo discorso ignora il fatto che ci sono molte persone che amano quello che fanno, e continuerebbero a farlo. Nella mia concezione "smettere di lavorare" non significa smettere di fare qualunque cosa, significa smettere di far parte di un sistema che rappresenta un circolo vizioso di tipo industriale. Non è sempre stata così la nostra società: saranno appena 150 anni che l'uomo vive per lavorare dieci ore al giorno.

Per quanto riguarda l'impatto sociale? Come hanno reagito le persone intorno a te?
I miei genitori non erano d'accordo. Hanno sempre avuto una grande cultura del lavoro, ed erano molto impauriti per me, ma alla fine hanno preso atto della mia scelta. Di amici invece ne ho persi molti, devo essere sincero.

Dal punto di vista esterno a queste persone risulti come un parassita del sistema: succhi solo risorse. In genere, poi, quando incontro qualcuno di nuovo trovo che ci siano due tipi di reazione: ci sono quelli incuriositi, che fanno domande, e altri che provano un istantaneo senso di repulsione. Dal mio punto di vista dipende molto da quanto sono inserite nel sistema.

Che tipo di consigli pratici daresti a chi invece vuole iniziare questo percorso?
Il primo consiglio è sempre quello di prendersi un periodo per monitorare il proprio stile di vita e di spesa: bisogna abituarsi gradualmente a ridurre all'osso le uscite economiche. Un altro aspetto fondamentale: difficilmente si può vivere in città facendo questa vita. Il costo delle abitazioni è proibitivo, i consumi sono proibitivi, l'autoproduzione è molto limitata.

Per quanto riguarda invece il denaro, oggi i modi per avere delle entrate senza un lavoro sono diversi. Anche aprire canali YouTube, sperimentare le possibilità che ha il mercato dell'intrattenimento online. Un ambito economico in grossa ascesa, poi, è quello dell'infobusiness: se hai una passione, delle conoscenze, un percorso di vita particolare che può essere istruttivo, puoi creare dei video-corsi online a pagamento. È un settore già molto conosciuto negli Stati Uniti, e sta crescendo rapidamente anche da noi. Le informazioni sono preziose, e anche con interessi di nicchia è molto probabile trovare persone disposte a pagare per saperne qualcosa in più.

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