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Tecnologia

I ghiacciai liberano ferro buono negli oceani

Un esperimento di geo-ingegneria è in atto.
Il ghiacciaio Byrd. Immagine: Wikimedia Commons/NASA

Nonostante possa sembrare strano, le grandi quantità di ferro sciolto rilasciato negli oceani dallo scioglimento delle calotte di ghiaccio potrebbe tenere il riscaldamento globale sotto controllo. Questo secondo uno studio di questa settimana pubblicato sulla rivista Nature Communications, che descrive un meccanismo secondo il quale il ghiaccio sciolto, rilasciando ferro biologicamente disponibile, favorisce la crescita del fitoplancton (che si nutre di ferro) che a sua volta, oltre a rappresentare una fonte di cibo per gli animali marini, assorbe l’anidride carbonica dall’atmosfera.
 
Inutile dire che assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera è fondamentale se si vuole tenere sotto controllo il cambiamento climatico. I ricercatori del National Oceanography Centre del Regno Unito spiegano che questa particolare fonte di ferro non è mai stata presa in considerazione. “Le calotte glaciali antartiche e della Groenlandia coprono circa il 10 percento della superficie terrestre,” ha detto Jon Hawkins, autore principale dello studio, in una dichiarazione. “Il ferro trasportato dagli iceberg è da tempo riconosciuto come fonte di ferro negli oceani, ma la nostra scoperta di significative quantità di ferro rilasciate durante il deflusso dalle grandi calotte di ghiaccio è nuova.”
 
Va precisato che il ferro come comunemente inteso è diverso dal ferro che ha valori nutritivi. Nonostante sia il quarto elemento più comune della crosta terrestre, la sua forma più diffusa è l’ossido di ferro, che non è reattivo e quindi ha un’utilità limitata nei processi biologici. In altre parole, è una roccia come tante altre.
 
Negli oceani è molto difficile trovare ferro biologicamente disponibile, almeno dal punto di vista del fitoplancton. È scarsamente solubile in acqua e può esistere solamente in acque ricche di nutrienti. Per esempio, dove acque profonde salgono in superficie o si imbattono in spiagge e bassi fondali, erodendo il materiale solido e le sostanze nutritive contenute al suo interno. Gli habitat marini più grandi si trovano in luoghi come questi. Il ferro finisce negli oceani anche attraverso la polvere soffiata al largo dalla terra, dagli iceberg, dai ghiacciai e dallo scioglimento delle calotte di ghiaccio.
 
Tutto ciò diventa interessante alla luce di un sistema chiamato fertilizzazione con il ferro. Si rilasciano grosse quantità di ferro negli oceani nella speranza che stimoli la proliferazione del fitoplancton, che a sua volta assorbirebbe il biossido di carbonio. Tuttavia, i risultati degli esperimenti condotti sono poco convincenti. Pare che le alghe accumulino la maggior parte del ferro, ostacolando lo sviluppo del fitoplancton. Poi c’è stata la volta in cui Russ George, ricchissimo appassionato di geo-ingegneria, ha scaricato 100 tonnellate di polvere di ferro al largo del Golfo dell’Alaska, in quello che è stato definito un esperimento pericoloso e non autorizzato.
 
Parte del problema è che abbiamo solo una vaga idea di come funzionino le comunità di fitoplancton, di cosa ne stimoli la crescita e di cosa ne permetta la conservazione. Dopotutto, il ferro è solo uno dei tanti nutrienti, come fosforo e azoto, di cui le alghe hanno bisogno. Secondo uno studio del 2012, quando si studiano le comunità di alghe bisogna prendere in considerazione anche le vitamine più comuni. In particolare, la vitamina B12 è un elemento mancante la cui introduzione potrebbe avere un effetto significativo sulla fotosintesi del fitoplancton e quindi sull’assorbimento del biossido di carbonio. Tuttavia, ancora non ne sappiamo abbastanza.
 
È molto difficile raccogliere dati veramente precisi sulla metodologia della geo-ingegneria. L’obiettivo di processi come la fertilizzazione con il ferro è portare piccoli cambiamenti in un sistema vasto e complesso, nella speranza di un effetto cumulativo. Quindi, come si verifica l’efficacia della geo-ingegneria senza condurre delle operazioni di geo-ingegneria?
 
Pare non ci sia molta scelta quando si ha a che fare con lo scioglimento delle calotte di ghiaccio. C’è poco da fare nell’arco di tempo in cui viene rilasciato il ferro. Tuttavia, che ci piaccia o no, si tratta di un esperimento. In particolare, un esperimento che fa sfigurare quello di Russ George: il team inglese stima che ogni anno da 400.000 a 2.500.000 tonnellate di ferro vengono rilasciate dai ghiacciai della Groenlandia e da 60.000 a 100.000 da quelli antartici.
 
“Ovviamente, il rilascio di ferro dalle calotte di ghiaccio è concentrato nelle regioni polari,” ha detto Hawkins, “quindi l’importanza del ferro glaciale in quelle zone è significativamente più alta. Molti ricercatori hanno già verificato che l’acqua risultante dal disgelo glaciale è associata alla proliferazione del fitoplancton…questo potrebbe aiutarci a capire perché.”
 
Hawkins e il suo team hanno raccolto dati sul ghiacciaio Leverett, in Groenlandia, passando l’estate del 2012 a raccogliere acqua da spedire in Inghilterra per le analisi. Ora devono quantificare l’impatto sul cambiamento climatico, determinare l’esatta disponibilità biologica delle specie di ferro rilasciate, paragonare i risultati ottenuti in Groenlandia con quelli di altri ghiacciai e, infine, identificare l’effetto sulla crescita delle comunità di fitoplancton. Sappiamo che la proliferazione avverrà, ma buttando in mare solamente il ferro, sarà grande abbastanza da essere utile?