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Stoya su porno ed etica

Anche detto Il Manifesto del partito di Stoya.

Un set porno. Immagine via Wikimedia Commons

Qualche tempo fa stavo parlando di peli pubici con un giornalista. Le mie interviste preferite sono quelle che sembrano in tutto e per tutto conversazioni con un estraneo in un bar o con un amico in un qualche locale tranquillo. Si finisce sempre a parlare di qualcosa che non ha niente a che vedere con l’articolo in questione. Uno dei territori in cui mi sono avventurata durante una di queste interviste riguarda lo sfruttamento nell’industria del porno.

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Il mio primo contratto con una casa di produzione di film per adulti pendeva nettamente a favore della società. Si può proprio dire che mi avessero “inculata”: ho sentito migliaia di miti sui terrificanti primi contratti di musicisti e attori. Alcune me le hanno raccontate loro stessi. Magari volete saperne un paio: il cambio di nome di Prince per evitare problemi di marchio, o i motivi dei capricci di Johnny Depp sul set di 21 Jump Street, o ancora il contratto da 15 anni di Billy Joel con la Family Productions.

Da tutto ciò ho capito che i motivi per cui sono stata fregata con quel primo contratto sono molto simili a quelli per cui tanti altri giovani artisti sono stati fregati da grandi società. Non serve scendere nei dettagli. E questo non toglie che gli attori porno non siano la norma e che, a differenza del mio, molti altri contratti dell'ambiente siano ben più bilanciati.

Parte della responsabilità è inevitabilmente mia, per essere stata così infantile da firmare un accordo del genere senza un avvocato accanto. Non si va in mezzo a una sparatoria armati di forchetta, e non avrei dovuto mettermi a giocare col capitalismo e la sua potenza senza avere un consiglio professionale o almeno un paio di conoscenze di base sul tema. Una volta capito che i vantaggi nella nostra relazione erano unilaterali, ho parlato con degli avvocati e ne sono uscita. Certo, quest’esperienza mi ha insegnato che non avrei potuto fare il lavoro che volevo per più di un anno senza ogni volta mettermi in una posizione contrattuale svantaggiosa. Sì, è stato difficile, stressante e costoso, ma ho imparato moltissimo e gli onorari che ho pagato non sono valsi meno di un anno in più al college.

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Al momento la mia carriera va bene. I nuovi proprietari non hanno il diritto di impedirmi di fare performance live e servizi fotografici. Posso scrivere sotto qualunque nome mi vada bene, incluso quello che mi sono costruita da ancora prima di considerare un lavoro nel porno. Ogni impiego di cui abbia avuto esperienza nei primi anni della mia carriera nei film per adulti è una versione esasperata dei primi lavoretti sottopagati che un ragazzo può accettare appena uscito da scuola. Una società decisa a ottenere così tanto da una persona pagandola così poco è il simbolo di ciò che può fare il capitalismo.

Alcuni sono d’accordo sul fatto che la pornografia sia per definizione uno sfruttamento. Gli attivisti anti-porno dipingono le giovani star come ragazzine con gli occhi da cerbiatto, le tette nuove di pacca, un corpo da diciannovenne e una mancanza completa di qualsivoglia facoltà di pensiero e autogestione. Anche se di sicuro questo tipo di ragazza funziona da modello per far credere che il porno sia brutto e cattivo, si tratta solo di una caricatura. Che finisce per diventare fuorviante quando si parla di etica e sfruttamento nel settore.

E poi ci sono cose come Big Porn. Forbes ha scoperchiato il vaso della pornografia quale industria da 14 miliardi di dollari nel 2001, ma quando ho cominciato a parlare alla stampa nel 2008, i giornalisti continuavano a fare domande sull'argomento. Fino a qualche anno fa questa versione pornografica di Exxom o Walmart non esisteva. Le case di produzione erano per la maggior parte di dimensioni minuscole e quasi senza burocrazia, con una serie di preoccupazioni sul benessere di chi ci lavorava. Molte di queste esistono ancora, ma adesso c’è anche il Gigante.

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Un disegno di Stoya

Realtà come queste, alimentate dai siti di video gratuiti, hanno inglobato una porzione così grossa dell’industria da rappresentarla ormai quasi totalmente. Più tempo passo a osservare queste società, più mi sembra che si stiano virando in modo irreversibile verso un capitalismo estremo. A parte tutta la questione della pirateria e l’arresto di chi è stato accusato di evasione, hanno iniziato a ripiegare su stagisti sottopagati per rimpiazzare il flusso di impiegati portati via dalle condizioni troppo misere. La loro struttura interna non è chiara. I membri esecutivi forniscono istruzioni e poi reprimono gli impiegati di livello più basso per averle messe in pratica. La mancanza di rispetto con cui trattano lo staff ha iniziato a emergere dalla qualità sempre più bassa delle produzioni. Ma il Gigante del Porno sembra non capire che il comun denominatore è proprio lui.

Se state riflettendo o volete discutere di etica nel porno, ricordatevi che l’industria non è fatta solo di ragazze nude sulle copertine dei DVD o sulle homepage dei siti. Ci sono anche registi e moltissime persone che lavorano sul set, oltre a tante altre che si occupano di post-produzione e vendita del prodotto. Capisco che un tipo di mezza età che sposta luci e telecamere tutto il giorno non vi tocchi quanto una ragazza giovane e carina, ma è lui quello che lotta per pagarsi l’affitto e la macchina ogni volta che gli cancellano una sessione all’ultimo minuto. È lui che viene rimpiazzato da altri, assunti per un salario più basso o addirittura gratis, quando trova il coraggio di andarsene. Le persone che non vedete nei video sono le prime a dover sopportare l’urto iniziale di questo squilibrio di potere.

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Contrariamente a Hollywood, né lo staff né gli attori sono protetti da un sindacato. E a differenza degli attori, lo staff non è protetto da agenti o da quel tipo di valore di mercato che permette a persone come me di rifiutare un lavoro finché non vengono garantite condizioni migliori. E quando il Gigante avrà finito di assorbire il possibile da queste persone dietro le quinte, non c‘è motivo per cui non debba cominciare a prosciugare anche gli attori.

Ho corso un grosso rischio qualche anno fa, riuscendo a correggere lo squilibrio nelle mie obbligazioni contrattuali. A 23 anni ero già contro il sistema. Di nuovo, molto è dipeso dalla mia fortuna. Ci sono voluti un sacco di soldi e un numero inquantificabile di possibilità per riuscire a rendere la mia situazione personale più equa. Se non avessi risparmiato ogni singolo dollaro per i primi due anni e non mi fossi imposta, non ci sarei mai riuscita.

Potevo finire come quei musicisti che non si chiamano Billy Joel o Prince. Persone di cui non conosciamo i nomi perché non sono riuscite a combattere il sistema o ad avere la visibilità necessaria. Nel frattempo il mio dito medio alzato è stato rimpiazzato da frasi come “sono profondamente in disaccordo con le tue pratiche commerciali e questo potrebbe influenzare negativamente la prosecuzione del nostro rapporto professionale”. Ciò contro cui bisogna combattere, ora, è l’UOMO, con tutte quelle forze che non fanno caso a frasi educate come ai medi alzati.

Segui Stoya su Twitter: @Stoya

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