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Tecnologia

Cosa c’entrano davvero i videogiochi con la strage nelle moschee in Nuova Zelanda

Venerdì scorso, 50 persone sono state uccise in un attacco terroristico di matrice razzista e islamofobica — ma il discorso si è polarizzato troppo rapidamente sul collegamento con i videogiochi, banalizzando una situazione molto complessa.
Matteo Lupetti
Asciano, IT
Brenton Tarrant arma nomi
L'arma usata da Tarrant, su cui compare il nome anche di Luca Traini. Immagine via Twitter

Venerdì scorso, nella città di Christchurch, in Nuova Zelanda, 50 persone sono state uccise in un doppio attacco terroristico di matrice razzista e islamofobica nelle due moschee della città, Masjid Al Noor e Linwood’s Masjid.

Chiunque abbia giocato a sparatutto in prima persona ha pensato alla loro tipica inquadratura guardando il video diffuso dal terrorista Brenton Tarrant durante la strage: visuale in prima persona, l’arma che spunta in basso da destra. Tanti siti e testate giornalistiche hanno ripreso il collegamento con i videogiochi usando i soliti toni sensazionalistici, e i videogiocatori hanno risposto con i soliti toni vittimistici.

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Come al solito, noi di Motherboard preferiremmo però affrontare la questione dei rapporti tra la strage in Nuova Zelanda e videogiochi senza banalizzarne la complessità. Lasciamo magari perdere la visuale in soggettiva e partiamo invece dall’inizio del video, quando Tarrant esclama “subscribe to PewDiePie”, cioè “iscrivetevi al canale YouTube di PewDiePie,” che è il più famoso YouTuber al mondo ed è specializzato appunto in contenuti videoludici. Che ci fa un simile invito nella diretta di una strage?

Per anni gli YouTuber sono stati incoraggiati a creare video sempre più radicali proprio perché favoriti dall’algoritmo stesso

PewDiePie ha un rapporto fecondo (seppur sempre negato) con l’estrema destra: collaborazioni con conservatori, immaginari e frasi ripresi dal nazismo e presentati ossessivamente nei suoi video, l’ammirazione di uno dei più famosi siti neonazisti (The Daily Stormer), l’uso di offese razziste, la colpevolizzazione delle donne vittime di molestie, persino la promozione di un video dove viene negato l’omicidio di Heather Heyer, uccisa da un suprematista bianco durante la manifestazione di Charlottesville dove si riunì tutta l’estrema destra americana per difendere il passato schiavista degli USA. “Subscribe to PewDiePie” è una frase detta per contribuire all’attuale lotta di PewDiePie per restare il primo canale YouTube di fronte alla minaccia del suo principale concorrente — il canale indiano T-Series. È una lotta che può essere interpretata anche come la difesa del gamer bianco contro la minaccia delle altre culture, ma è soprattutto un meme — qualcosa sentito e risentito in tanti video online e quindi ripetuto in un altro video online, quello della strage.

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Prima dell’attacco, Tarrant ha pubblicato il suo manifesto sulla imageboard — un genere di forum incentrato sulla condivisione di immagini — 8chan. Fuori dalla sua nicchia — e da quella degli esperti di videogioco — 8chan è quasi ignoto. Più conosciuto è il suo “cugino” 4chan — covo di razzismo, omofobia, transfobia e misoginia — ma 8chan è stato creato per permettere di pubblicare contenuti che sarebbero reputati troppo estremi persino per 4chan stesso. Proprio su 4chan, nel 2014, è nato il GamerGate — un movimento incentrato sull’allontanare donne e minoranze dall’industria dei videogiochi e bloccarne l’inclusione nelle opere stesse — e i metodi dei suoi membri (come la pubblicazione dei dati personali delle sviluppatrici da rintracciare e "punire") hanno costretto 4chan a vietare le discussioni inerenti al movimento. Il GamerGate si è allora spostato su 8chan, che deve la sua crescita e la sua fama proprio a questa iniezione di nuova linfa vitale dalla parte più controversa e tossica del mondo del videogioco.

È stato il GamerGate — cioè i videogiocatori — a rendere importante 8chan, a creare una piattaforma dove Tarrant potesse condividere negli anni le sue idee e infine l’annuncio della strage che ha organizzato. Il manifesto stesso è costruito come un complesso testo pieno di riferimenti a meme e fenomeni di internet comprensibili solo a chi questo linguaggio lo mastica tutti i giorni e da anni. È un manifesto scritto nella lingua di 8chan, come il video (compreso il suo invito a iscriversi a PewDiePie) è realizzato nella lingua degli streamer e degli YouTuber.

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Persino la musica scelta per lo streaming del massacro non è altro che un meme, un meme derivante da una canzone legata al nazionalismo serbo-bosniaco anti-islamico in un complicato gioco in cui contenuti razzisti e violenti vengono nascosti dietro quelli che apparentemente sono solo gag ricorrenti e in cui gag ricorrenti vengono deviate e trasformate dall’uso in messaggi in codice di sovranisti e razzisti vari. Tarrant sta parlando a un pubblico preciso — ed è un pubblico composto soprattutto da videogiocatori — mentre trolla tutti gli altri incapaci di distinguere il vero dal falso nelle sue parole.

Non dobbiamo dimenticarci che l’islamofobia nasce molto prima di 8chan, di YouTube, di internet.

Giocare ai videogiochi non ti rende un killer; Tarrant stesso dileggia questa ipotesi nel suo manifesto. Ma basta aprire YouTube e guardare un video dedicato a videogiochi per trovare tra i video raccomandati dall’algoritmo narrazioni sempre più estreme: come le donne hanno “corrotto i giornalisti” per promuovere le loro opere, come le attuali correnti femministe abbiano rovinato la cultura “nerd,” come le grandi corporazioni rendano i loro prodotti sempre più inclusivi non tanto per rincorrere una società in cambiamento e tenerla nella loro morsa capitalista, ma per spingere un’agenda politica segreta. YouTuber mainstream — come PewDiePie — spesso collaborano con personalità della destra, promuovendole al loro pubblico.

Per quanto YouTube affermi di star migliorando il suo algoritmo in modo da non consigliare più teorie cospirazioniste, la piattaforma ha lucrato per anni sui clic portati da questi contenuti e per anni gli YouTuber sono stati incoraggiati a creare video sempre più radicali proprio perché favoriti dall’algoritmo stesso. Sentiamo spesso parlare della radicalizzazione dei terroristi islamici su internet, ma quello che fuori dagli ambienti specialistici non esce altrettanto chiaramente è che l’estrema destra sta ugualmente radicalizzando le persone online e lo fa alla luce del sole, su YouTube.

Ecco cosa c’entrano davvero i videogiochi, i videogiocatori e le loro piattaforme con la strage in Nuova Zelanda: sono diventati (anche) parte di un percorso verso la radicalizzazione e hanno dato casa a chi già era radicalizzato.

Ma non dobbiamo dimenticarci che l’islamofobia nasce molto prima di 8chan, di YouTube, di internet e anche dell’estrema destra di matrice novecentesca. Luca Traini — l’estremista che nel febbraio 2018 ha aperto il fuoco e ferito sei persone di origine straniera a Macerata —, non era uno shitposter. Neanche una piattaforma come 8chan può dire di esistere in un vacuum assoluto; c’è una responsabilità culturale, politica e sociale molto più ampia che alimenta e legittima tragedie come quella di Christchurch. E dovremmo davvero cominciare a guardarla in faccia.