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Cibo

Ho scoperto qualcosa di più sulla carne di Marmotta e adesso non vedo l'ora di provarla

La caccia alla Marmotta in Italia è vietata, ma negli stati limitrofi è possibile procurarsela. E come con il maiale non si butta via niente: il grasso ad esempio è un potente antidolorifico.
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Foto via Wikimedia Commons (Francois Trazzi, CC BY-SA 3.0). 

Si uccideva sempre la marmotta più vecchia perché aveva meno possibilità di risvegliarsi dal sonno invernale.

In un’epoca in cui sempre più persone si convertono al veganesimo, e la carne viene vista come un cibo incompatibile con il nostro organismo (e l'ambiente), pensare di cibarsi di un roditore grassotello che fischia quando si sente in pericolo, può far ribrezzo, un po' come succede per le nutrie. Le popolazioni che in passato abitavano le Alpi non la pensavano certo così, che quando scarseggiavano le risorse, cacciavano anche le buffe marmotte.

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La marmotta è da sempre stata associata alle Alpi, dove trova il suo habitat una specie autoctona: la Marmotta Alpina.

Qualche settimana fa, quando il caldo di Milano era insopportabile, mi sono rifugiata in montagna, in Piemonte, poco distante dal Monte Rosa, per la precisione a Carcoforo, un piccolo paese della Valsesia — tra i meno popolati d'Italia.

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Scambiando qualche chiacchiera con gli anziani del luogo, ho scoperto che in passato la caccia alla marmotta era un rito che si svolgeva prima dell’inizio dell’inverno e di un lungo letargo. La caccia avveniva in modo rispettoso e se vogliamo etico: si uccideva l’animale più vecchio perché aveva meno possibilità di risvegliarsi dal sonno invernale.

In Italia, nelle regioni che comprendono l’arco alpino la caccia di questi animali è stata vietata già a partire dal 1939, anche se non c’è il pericolo d’estinzione. Per questo motivo, nel 2006 e nel 2015, la Provincia Autonoma di Bolzano ha cercato di autorizzare l’abbattimento di una parte di marmotte in eccesso. Le richieste, però, non sono andate a buon fine perché ostacolate dalle associazioni animaliste.

In Svizzera, Austria e Slovenia, invece, la caccia alla marmotta è consentita: basta passare il confine per poter mangiare stufati e ragù senza sentirsi dei criminali. Ma come mi confermano gli abitanti della Valsesia, ogni tanto ci si concede la carne proibita comprandola fuori dai confini italiani.

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La carne di marmotta è rossa e ricca di grasso, questo perché l’animale passa tutto l’autunno ad ingozzarsi per immagazzinare l’energia necessaria al lungo letargo. Cucinarla è un atto di coraggio non da poco: è necessario scuoiarla, e lasciarla frollare per qualche giorno al fresco ed infine sgrassarla per bene.

Sfogliando gli studi sulla cucina delle Alpi, si scopre che in passato ogni valle preparava la selvaggina seguendo dei riti sociali. Per esempio, nell’alta Valsessera (in Piemonte), durante la festa del Disalp (la transumanza di ritorno) era tradizione consumare la marmotta in salmì con erbe e aromi, accompagnata dalla polenta. Anche nel regime alimentare dei contadini Valdostani e della val Fomazza della prima metà del novecento, si consumavano regolarmente marmotte. L'Uberlekke è un tipico piatto della cultura Walser (popolazioni che abitavano le Alpi) e veniva preparato con diversi tipi di carne tra cui quella di marmotta.

Gli antichi metodi di conservazione della carne erano il più delle volte la salamoia o l’essiccazione, mentre ora è più facile trovare carne fresca. Come avviene con il maiale, non si butta via niente: il grasso viene e veniva usato come potente rimedio per i dolori muscolari. Qui in Italia non è - ovviamente - disponibile, ma dicono abbia un odore davvero nauseante e ci credo.

Non ho mai avuto occasione di mangiare questa carne, forse dovrei intercettare qualche contrabbando o farmi un giro per St.Moritz primo o poi. Oggi una carne del genere può essere solo un vezzo, mentre in passato ricopriva un ruolo, era parte di una ritualità e sopratutto soddisfava una necessità.

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Questo ci dovrebbe far riflettere un bel po’ su quando andiamo in montagna desiderando mangiare a tutti i costi la selvaggina, perdendo di vista di vista il legame fra la carne e il territorio.

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