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Dieci anni di VICE Italia

Dove eravamo dieci anni fa: la redazione di VICE Italia racconta cosa faceva nel 2005

Quando nel 2005 nasceva VICE Italia buona parte dei membri della redazione era occupata in tutt'altro tipo di attività: abbiamo chiesto ai diretti interessati di raccontarcelo nel dettaglio.

Benvenuti su "Dieci anni di VICE Italia", la rubrica che vi accompagnerà alla festa per il decimo compleanno di VICE Italia. Dopo avervi parlato del primo numero, in questa puntata abbiamo chiesto ai componenti dell'attuale redazione cosa stessero facendo nel 2005.

Quando nel 2005 nasceva VICE Italia buona parte dei membri della redazione era occupata in tutt'altro tipo di attività: nel peggiore dei casi ci stavamo facendo bocciare per la seconda volta, e nel migliore eravamo in gita di quinta elementare. Ora che sono passati dieci anni, abbiamo pensato di festeggiare ricordandoci dove eravamo e cosa ci ha portato qui. Per l'occasione abbiamo anche cercato tra gli hard disk esterni, i MySpace e i Fotolog le nostre immagini di quel periodo—fortunatamente all'epoca Facebook non esisteva.

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NICCOLÒ CARRADORI - Staff Writer

Niccolò ultras del Celtic Glasgow nel 2005.

Nel 2005 avevo 17 anni, e di quel periodo ricordo soprattutto i rapporti fideistici e materni che tentavo di instaurare con le professoresse del liceo, di modo che si battessero contro la mia bocciatura in fase di scrutinio. Le mie trame relazionali furono così sofisticate che alla fine dell'anno venni bocciato per la seconda volta. Durante le mattinate solitarie in cui facevo buca mi infilavo in una piccola libreria della mia città, che fungeva anche da sala da té, e parlavo di Faulkner con un vecchio cliente che era lì tutti i giorni, e che solo anni dopo ho scoperto essere Roberto Carifi, uno dei più famosi poeti italiani ancora in vita. Per la maggior parte del tempo restante discutevo istericamente con la mia ragazza dell'epoca, mi mettevo le magliette dei CCCP e mi facevo i cilum con gli amici del baretto.

E in un certo senso è stato proprio il fumo il frangiflutti decisivo della mia adolescenza: durante una festa, proprio quell'anno, mischiai talmente tanto rum della Lidl e carciofi di sputnik che cominciai a vedere le cose al rallentatore e mi sembrava di non poter toccare gli oggetti. Ebbi così il mio primo, gigantesco, attacco di panico. Fu questo tutto sommato trascurabile avvenimento a condurmi nello studio del mio primo terapeuta: un ometto posato e carismatico che assomigliava a Bertolt Brecht, vestiva sempre di nero e mi faceva sentire molto intelligente e profondo. Grazie alla fascinazione per quest'uomo decisi che anche io mi sarei iscritto a Psicologia Clinica, e intrapresi i primi passi che nel giro di pochi anni mi avrebbero potuto portare a convegni sulla "Proiezione cognitiva verso le sagome di compensato", alla disoccupazione e all'indigenza. Sono stato salvato da questa orribile prospettiva proprio grazie allo stage a VICE, che nasceva a mia insaputa proprio quell'anno, e a cui per questo vorrò sempre molto bene.

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FEDERICO NEJROTTI - Motherboard Editor

Federico felice.

Dieci anni fa avevo dieci anni ed ero piuttosto giovane e sorridente. La vita era decisamente felice e vivevo in armonia completa col cosmo, accompagnandomi naturalmente al susseguirsi del giorno e della notte. Alba, sole, ero sveglio, vivevo—tramonto, luna, andavo a letto, non vivevo. Era semplicissimo. Le uniche cose a cui tenevo molto erano il gioco di ruolo che avevo organizzato con i miei compagni di classe delle elementari e il gioco di ruolo che avevo creato su un forum sul web: si chiamava Zeldopoli, era ambientato nel mondo di The Legend of Zelda e io non potevo che essere il "Re di Zeldopoli." Fine—permanevo spensierato in questa isola felice, non c'era null'altro (almeno nelle mie memorie) e null'altro doveva esserci. Dopodiché sono arrivato in prima media, lì ho appreso il concetto di "avere una cotta per una tipa" e da quel momento in poi l'umore della mia esistenza non si è mai discostato troppo da quello di una campagna militare di Gengis Khan. In apertura, una foto di me stesso prima di conoscere il genere femminile: felice.

ELENA VIALE - Magazine Editor

Elena con i libri e il fumo nel 2005.

Mentre stavo cercando di ricordarmi cosa facessi nel 2005, mi hanno comunicato che mio cugino e coetaneo si sposa tra pochi mesi. Perciò la risposta è che io al contrario di mio cugino non facevo niente per assicurarmi un futuro. A dire il vero non facevo praticamente niente a parte scrivere sui muri di camera mia pezzi del Muro di Sartre (tutti in caps lock), vomitare di sabato sera, andarmene di casa sbattendo le porte, cercare di cucinare pizze all'hashish, parlare di cose di cui non sapevo niente e vessare i miei famigliari e il mio fidanzatino. Per l'occasione ho rispolverato i messaggi che mi mandava quando scomparivo dalle feste a cui ci eravamo presentati insieme: "e tu dove sei?…in una stanza drogata…e io qui a piangere per te…ti piace il mio fegato che mi morde così forte… e io guardo uno schermo… guardati… piccola indifesa." : ( scusa.

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Comunque, a parte essere una completa testa di cazzo, ero brava a scuola perché il greco e il latino sono molto più facili di stare al mondo, sicché per qualche anno le minacce numero uno della mia vita sono state il Certamen Taciteum e il corso pomeridiano sulla Gestalt. Quell'estate il professore di italiano ci aveva fatto leggere Le notti bianche di Dostoevskij, Primo amore di Turgenev, Il maestro e Margherita di Bulgakov. Infatti l'anno dopo sono passata dal ginnasio al liceo e mi sono innamorata del professore di italiano. E probabilmente questo mi ha salvato la vita.

ALICE ROSSI - Online Editor

Dieci anni fa

niente foto senza i pantaloncini in testa.

Nel 2005, la cosa che più mi avvicinava a VICE era: niente. Avevo 16 anni, abitavo in un satellite del satellite del satellite della civiltà occidentale e la mia vita online consisteva nella ricerca di testi di canzoni da tradurre, nel salvataggio di immagini di Nick Cave e Peter Murphy e nell'aggiornamento del mio blog, su cui mettevo in fila parole complicate (poesie!) e parlavo dei ragazzi con cui stavo o con cui credevo di essere stata. Un'altra attività che mi teneva molto impegnata sia online che offline era: raccontare palle. E leggere. Oggi ho perso di vista Nick Cave e Peter Murphy, non scrivo quasi più, leggo meno di quanto vorrei e ascolto musica con poche parole. Ho ancora la tendenza a inventarmi le cose, ma in fondo è grazie a quella che ho iniziato a lavorare da VICE.

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LEONARDO BIANCHI - News Editor

Nel 2005 avevo 19 anni e stavo finendo il liceo classico a Padova. Non ho chissà quali episodi eclatanti da segnalare—piuttosto, solo un vago ricordo di quella che era la routine del liceale medio in una città veneta: andare a scuola la mattina, studiacchiare il pomeriggio, e uscire la sera iniziando con i consueti giri di spritz verso le 19 e finendo verso le quattro di mattina in pub trucidi o paninari onti, come si dice da quelle parti.

Non era così male, ma in un certo senso il tutto era abbastanza soffocante; e infatti, non vedevo l'ora di fare la maturità e andare via da Padova. A fine estate mi sono iscritto a giurisprudenza a Bologna—che è stata la scelta migliore che potessi fare. È qui che, soprattutto grazie al mio professore di diritto costituzionale, mi sono interessato seriamente di politica e giornalismo. Tra il primo e il secondo anno di università ho cominciato a smanettare con i blog, e successivamente a mandare i miei articoli in giro (ricevendo un sacco di porte in faccia). Poi ho cominciato a lavorare da VICE, e se così non fosse stato ora probabilmente sarei a tracannare spritz mentre carico gattini sulla colonna destra di qualche sito.

MATTIA SALVIA - Assistant Online Editor & Staff Writer

Mattia è quello a sinistra in foto.

Il 2005 è stato l'anno in cui sono uscito dal mio quartiere per la prima volta. Avevo 14 anni, ero un ragazzino sfigato che stava sempre chiuso in casa a leggere e giocare al computer e avevo appena iniziato a frequentare un liceo classico del centro, dove la prima cosa che ho imparato è stato che rumore fanno le tue aspettative quando vanno a infrangersi contro la realtà. Nella mia classe ero uno dei pochi ad abitare in periferia. Ero anche uno dei peggiori, nonostante mi impegnassi molto, e per tutti questi motivi non ho mai legato davvero con i miei compagni. Oggi alcuni di loro si sono sposati mentre altri girano con il figlio di Mike Bongiorno, quindi tutto sommato direi che mi è andata bene.

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A giugno sono passato con quattro debiti. La cosa mi ha demotivato e a settembre ho iniziato la quinta ginnasio con un'attitudine totalmente diversa—quello è stato l'anno della mia prima bocciatura. Ho iniziato a uscire di casa, a scoprire davvero il quartiere in cui ero cresciuto e a diventare una specie di piccolo teppistello. Insomma, in quel periodo è iniziata ufficialmente la mia turbolenta adolescenza.

VIRGINIA RICCI - Noisey Editor

Virginia con Amanda Lear e Virginia con una testa.

Il tempo passa, quanto fa ridere? Ovviamente non fa ridere. Ora ho i miei primi capelli bianchi, da qualche mese uso la crema contorno occhi e piango molto più spesso di prima quando mi aleggia in testa il concetto di morte. Ciononostante, l'invecchiamento non mi provoca particolari sconquassi emotivi, e questo credo avvenga per un motivo preciso: a vent'anni ero il ritratto della sfiga.

Nonostante io sia sempre stata un tipo anale (si parla di Freud: crisi d'ansia, manie di controllo, disturbi ossessivo-compulsivi, super-io particolarmente heavy metal), a vent'anni fingevo di essere una punkabbestia. Mi vestivo come una cazzo di raver nonostante non avessi MAI—lo giuro—nemmeno fumato una sigaretta. La mia adolescenza passata sui libri mi aveva probabilmente lasciato un ideale di quel mondo dei giovani che non avevo mai vissuto e che desideravo replicare tramite l'abbigliamento. Che, dici, oltre al danno la beffa. Dieci anni fa avevo una band, suonavo il basso, gli altri erano tutti maschi, ero Roberta dei Verdena. Lei però non si è mai redenta da quel look da marciona, devo chiederle il suo segreto.

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