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Un condannato a morte su 25 è probabilmente innocente

Secondo una nuova analisi, la giustizia americana ha giustiziato 50 persone innocenti negli ultimi quarant'anni.

La pena di morte è la menzogna che la società continua a raccontarsi sulla giustizia. Non è una punizione né una riparazione e non serve neppure a rendere il mondo più giusto. Non è utile nemmeno a legittimare atti come il pagamento di un parcheggio o l’isolamento forzato in carcere. Per giustificarla, dobbiamo essere così sicuri del nostro giudizio da rendere legittimo il legare un uomo al letto e avvelenarlo. Nel frattempo, la pena di morte ci fa sentire onesti e infallibili, a tal punto che riusciamo ad accettarla senza sensi di colpa.

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A dir la verità, la pena di morte era la menzogna che la società si raccontava. Potevamo incriminare qualcuno, rinchiuderlo, e infine togliergli la vita. Un uomo era colpevole solo perché era stato giudicato tale. Potevamo gridare alla menzogna, ma il sistema poteva ignorarci perché, in fondo, non avevamo altro. Ora innocenza e colpevolezza non sono più così definitive. L’analisi del DNA ha contraddetto la menzogna, dimostrando l’innocenza di molti condannati a morte, e anche di molti giustiziati. Per delitto e castigo tira una brutta aria.

Nonostante il gran numero di condanne ingiuste, c’è ancora qualcuno fermamente convinto che la pena di morte sia legittima. Non c’è da stupirsi, in un mondo in cui il rimorso è temporaneo e il potere della scienza di scagionare si sta affermando solo di recente. Forse la statistica può aiutarci a fare un conto del numero delle perdite dovute alla giustizia impazzita. Uno studio della National Academy of Sciences ci offre proprio questo: il numero di “condanne a morte ingiuste negli Stati Uniti.”

L’idea di “condanna giusta” si regge in gran parte sul fatto che si è sempre ritenuto impossibile quantificare il numero di condanne ingiuste. Lo studio spiega che “non esiste un metodo sistematico per determinare l’accuratezza di una condanna; se ci fosse, non esisterebbero questi errori.” È un dato statistico noto come “cifra oscura”––si sa che c’è, ma non si riesce a quantificare. Questo dà alla menzogna un aspetto meno irrazionale, almeno finché non si restringe il campo ai casi di pena capitale.

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“Si parte da un problema: un margine di errore non osservabile direttamente,” ha detto Samuel Gross, autore dello studio, in un’intervista. “Come facciamo allora a quantificare il numero di condanne ingiuste? Come trovare un sistema per rivelare gli errori? La risposta è che il sistema più efficace––quello che dà risultati più attendibili––è limitare l’analisi agli imputati che rischiano la pena capitale.”

La condanna a morte è diversa dalle altre condanne perché ha un tasso di annullamento o commutazione della pena molto più alto: 130 a 1. Secondo questo studio, il motivo è semplice: “la pena di morte riceve molta più attenzione rispetto alle altre sentenze, sia prima sia dopo la condanna.” La morte, dopotutto, è una cosa abbastanza seria. Tutte le condanne a morte finiscono automaticamente in appello, spesso più di una volta, e i condannati vengono difesi fino all’ultimo.

“L’alto tasso di annullamenti tra i condannati a morte fa pensare che un gran numero di innocenti alla fine venga graziato, forse persino la maggioranza,” dicono gli autori dello studio. “Se fosse così, potremmo usare l’annullamento come base per stimare il limite inferiore di condanne a morte ingiuste. “In effetti, la percentuale di pene capitali ingiuste è già stato stimato––tra il 2,3 e 3,3 percento––ma gli studi condotti hanno un problema fondamentale. A molti dei condannati graziati la sentenza viene commutata in ergastolo, rendendo il tasso di annullamento un parametro poco chiaro.

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Lo studio di oggi è il primo tentativo di risolvere il problema. Parte dal presupposto che i condannati graziati, ma non assolti, non contino. Si tratta di un metodo statistico chiamato analisi di sopravvivenza: quale percentuale di una certa popolazione sopravviverà per un certo periodo di tempo. “Alla fine stimiamo il tasso di condanne ingiuste come se tutti avessero il beneficio di questo processo” ha detto Gross.

Il risultato è “una stima delle condanne ingiuste negli Stati Uniti dal 1973 al 2004”: 4,1 percento. È un numero apparentemente basso, ma significa 50 morti innocenti (anche se gli autori sostengono che il numero di morti effettivo potrebbe essere minore dato che spesso la pena capitale viene ridotta all’ergastolo).

Questa è la cosa spaventosa: quelli che non sono stati assolti né giustiziati stanno ancora scontando la pena in prigione. “Una delle conclusioni dello studio è che oltre ai 138 condannati a morte assolti dal 1973, ce ne sono altri 200 la cui identità è sconosciuta. Sappiamo che queste persone esistono e sappiamo quante ce ne sono,” ha detto Gross. In effetti, i condannati innocenti molto spesso finiscono con lo scontare un ergastolo.

Lo studio è importante non solo per la pena capitale, ma per il sistema giudiziario in generale. “Cosa capiamo di tutti gli altri casi giudiziari? Direttamente, nulla,” ha detto Gross. “I casi capitali sono diversi. Non si può generalizzare. Ma ci danno un’idea della situazione.”

I detenuti che rischiano la pena di morte sono i più controllati, ma il tasso di condanne ingiuste rimane simile a quello di tutti gli altri casi,” ha detto Gross. “Possiamo arrivare a una stima abbastanza precisa per un gruppo e mostrare che il tasso degli altri crimini violenti è simile. Non ci sono grandi differenze. Più di così non possiamo dire.”

Il giudice Antonin Scalia fece una stima delle condanne false nel 2007: 0,027 percento. Questo ci riporta alla menzogna con cui abbiamo iniziato, quella di una giustizia fatale e perfetta. Il giudice Learned Hand, nel 1923, la mette così: “Il nostro sistema giudiziario è sempre stato minacciato dal fantasma dei detenuti innocenti. Ma non è altro che un sogno irreale.” A quanto pare, i fantasmi sono qui e ci guardano.

Con il contributo di Ben Richmond