Attualità

A Parigi il problema del crack sta andando fuori controllo

I prezzi bassi, la collocazione sulle rotte del traffico internazionale e le politiche contraddittorie hanno reso Parigi una 'capitale' del crack.
Daniele Ferriero
traduzione di Daniele Ferriero
Milan, IT
crack parigi
Fumatori di crack a Piazza Stalingrado, ribattezzata "Stalincrack", a Parigi. Foto di Joel Saget/AFP via Getty Images.

“Sta scavando, cerca il crack che pensa di aver sotterrato qui,” spiega Sarah Vinet, assistente sociale per l’organizzazione benefica Charonne, mentre indica un uomo che rovista in mezzo ai cespugli dei Jardins d’Éole. “Ma non c’è niente lì sotto. È solo un’abitudine. La chiamano ‘sindrome della gallina’.”

Centinaia di utilizzatori di crack si ritrovano ogni giorno in questo strano spazio liminale nella zona nordorientale di Parigi—uno spicchio di parco affacciato sui binari del treno, a pochi minuti di distanza dall’indaffarato hub ferroviario della Gare du Nord e dal frequentatissimo Canal Saint Martin—per una dose a basso prezzo, per vedere amici e conoscenti, o semplicemente per passare la giornata.

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“È una prigione a cielo aperto,” sostiene Vinet, il cui team fornisce ai consumatori di crack—o “caillou”—come viene chiamato qui—materiali puliti per fumare, così come consigli sui potenziali alloggi d’emergenza. “Cerchiamo di ridurre i rischi a cui vanno incontro e di semplificargli un po’ la vita. Ma è una vera e propria lotta.”

L’azione del team di Vinet si concentra nel diciottesimo e diciannovesimo arrondissement, dove c’è una concentrazione maggiore di popolazione con background migratorio. Ma la realtà è che Parigi ha un serio problema con il crack, e questo nonostante un programma cittadino nel quale in tre anni sono stati investiti nove milioni di euro.

Per chi ha da tempo la dipendenza, gli effetti piacevoli svaniscono in fretta per lasciare spazio alla paranoia, l’ansia e un senso terribile di vuoto. Alcuni urlano o giacciono per terra immobili. Molti portano addosso i segni visibili della dipendenza: labbra bruciate e spaccate, denti corrosi e guance scavate. Altri percorrono decine di chilometri ogni giorno, alla ricerca di un po’ di soldi per la prossima dose con cui riempire il vuoto.

“Con il crack, puoi vivere per un po’ come una persona normale”, sostiene Joseph, 34 anni e frequentatore abituale dei Jardins d’Éole. “Ma combatti sempre per restare a galla e alla fine il problema si ripresenta. Nella tua vita, nulla è al sicuro. Quando mio padre è morto, ho speso i 150.000 euro della mia eredità in 9 mesi. Ora non ho più niente.”

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Molti attribuiscono la situazione attuale alle “disastrose” politiche contro la droga del governo. Gli attivisti raccontano che la decisione delle autorità francesi di smantellare la famosa “collina del crack”—un accampamento nella parte nord di Parigi, che ospitava centinaia di utilizzatori—senza però risolverne le criticità strutturali, ha reso il problema “più grave che mai” e ha disperso queste persone in tutta la città.

“Le ha spinte in una situazione ancora più precaria”, sottolinea Elisabeth Avril, direttrice generale di Gaia, un ente parigino che si occupa di riduzione del danno. “La collina non era certo un luogo perfetto, ma almeno si trovava tutto in un unico posto. Le distanze attuali e la dispersione, invece, ci rendono più difficile dare assistenza.”

Un report incriminante pubblicato a gennaio del 2021 dall’OFDT, l’Osservatorio Francese sulle Droghe e sulla Dipendenza, e dall’INSERM, l’Istituto Nazionale per la Salute e la Ricerca Medica, ha sottolineato il fallimento di queste politiche, concludendo poi che “la persistenza del mercato del crack negli ultimi trent’anni, così come l’arrivo di nuovi fornitori”, provenienti dalle periferie più svantaggiate, rappresenta un “fallimento delle politiche pubbliche… troppo spesso basate su reazioni ‘ad hoc’.”

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Marie Jauffret-Roustide, co-autrice del report e ricercatrice presso l’INSERM, studia il fenomeno del crack dagli anni Novanta e crede che Parigi sia diventata la capitale del crack grazie ai prezzi piuttosto bassi, al fatto di essere sulle rotte del traffico internazionale e di essere il solo posto in Francia dove il crack è di solito venduto già pronto per il consumo. Ma sottolinea anche il ruolo chiave giocato dalla politica “contraddittoria” sulle droghe, che criminalizza chi ne fa uso.

“La risposta politica francese al crack è sin troppo focalizzata sulla criminalizzazione e sullo sgombero degli utilizzatori,” ribadisce Jauffret-Roustide. “Mancano i fondi pubblici per i programmi d’inclusione sociale. Si tratta di un paradosso, perché la Francia è tra i pochi paesi ad aver investito molto sulla sanità pubblica collegata all’uso di droghe, ma allo stesso tempo criminalizza il consumo in un modo che di fatto impedisce l’accesso alle cure.”

Il risultato, secondo il report dell’OFDT, è che adesso tra Parigi e le sue periferie circolano circa 13.000 utilizzatori di crack—cinque volte il numero stimato durante gli anni Novanta, e aumentato ancora rispetto ai 10.000 del 2015. Secondo alcune stime, Londra avrebbe 36.000 fumatori di crack, ma anche una popolazione circa cinque volte superiore a Parigi: ciò significa che nella capitale francese l’utilizzo è ben più visibile, concentrato ed evidente.

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“Il crack non è una novità, a Parigi,” ricorda Jauffret-Roustide. “Ma il suo consumo è aumentato molto ed è diventato più visibile, in special modo da quando le zone nord di Parigi vengono gentrificate e dunque la coesistenza con chi ne fa uso si è fatta più comune.”

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Utilizzatori di crack si radunano ai Jardins d’Éole, a Parigi Foto di Peter Yeung.

L’approccio duplice e ambivalente è evidente proprio ai Jardins d’Éole, dove le pattuglie della polizia passano regolarmente per scacciare i consumatori, che però ritornano inevitabilmente ore, o minuti, più tardi. Allo stesso tempo, il malconcio furgone di Charonne parcheggiato sul marciapiede continua a distribuire diverse volte alla settimana pipe da crack nuove e pulite, garze e materiale sanitario.

La squadra si annota il nome proprio e l’anno di nascita delle persone a cui dà supporto: Karim 1970, Giles 1991, Pascal 1978, Nody 1983, Raphael 1997, Aissa 1971.

Nei giorni più freddi e piovosi si affrettano e passano rapidamente, spesso con un ringraziamento gentile o un sorrisetto impertinente disegnato in faccia. Ma, nelle giornate primaverili illuminante dal sole, molti si attardano per fare due chiacchiere.

“Detesto il crack,” sostiene Jonathan, 27 anni e di Strasburgo. “Alla fine della giornata ti senti di nuovo normale… Be’, nello scenario migliore. Nella peggiore delle ipotesi, invece, sei totalmente angosciato. Il problema è sempre che non ne hai mai abbastanza. Una volta ne ho fumate 150 dosi in due giorni, soltanto perché le avevo.”

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Jonathan. Foto di Peter Yeung.

Durante i due anni passati in cella per reati legati alla droga, nel 2015 Jonathan ha iniziato a studiare filosofia e, quando è uscito dal carcere, ha continuato gli studi e ottenuto un master con specializzazione sulla schiavitù moderna. “Non è quello che la maggior parte della gente si aspetta dai crackeur,” aggiunge Jonathan, che ha cominciato a fumare crack a una festa di amici. “Ma può succedere a chiunque. La tua vita può essere ribaltata e puoi perdere il controllo.”

L’uso di crack non è così legato all’essere senza fissa dimora, come molti sono portati a pensare. Una ricerca dell’OFDT ha stabilito che a Parigi solo un utilizzatore di crack su quattro è senza casa o vive in alloggi di fortuna. Utilizzatori come Jonathan sono invece del tutto indistinguibili da qualsiasi altro passante. Ai Jardins d’Éole è possibile trovare anche adolescenti e donne incinte.

Di notte, le autorità chiudono il parco e i fumatori di crack si ritrovano ammassati in luoghi come Piazza Stalingrado, una zona storica per il consumo di droga, ribattezzata dai residenti “Stalincrack” e distante poche centinaia di metri da quanto è stato gentrificato con negozi di biciclette, cinema e locali di tendenza. Questa vicinanza sta sempre più costringendo gli utilizzatori di crack a entrare in contatto con i residenti, e ha portato a un aumento degli episodi di furto, prostituzione e violenza nell’area.

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“È il gioco infinito del gatto e del topo”, sostiene Florence Adam, commissario di polizia del diciannovesimo distretto, che sta guidando gli sforzi per reprimere il problema del crack. “Stiamo mantenendo una pressione costante tramite controlli, indagini e grossi sequestri, ma ci vorranno anni per contrastare questa piaga.”

Per Jean-Raphaël Bourge, presidente di Action Barbès, un gruppo di residenti di zona, la situazione è diventata “terrificante” ed è stata innescata da decisioni politiche sbagliate. “La collina del crack era un inferno terribile e sordido per tutti, residenti e utilizzatori,” conferma. “Ma quando le autorità hanno sgomberato la zona non hanno fatto progetti per la fase successiva.”

Bourge lamenta il rumore costante, la sporcizia, l’atteggiamento aggressivo e la sensazione di “insicurezza” quando cammina per strada. “Queste persone dipendenti dal crack occupano gli spazi pubblici e fondamentalmente vietano alle altre persone di poterne usufruire,” dice. “Ma non saranno le azioni della polizia a risolvere il problema. Non possiamo scacciarli e mandarli ancora più lontano… dobbiamo risolvere la situazione. Dobbiamo dare loro uno spazio dove consumare in tutta sicurezza.”

Altri residenti non dimostrano lo stesso tatto e capacità diplomatiche. Un account anonimo su Twitter ha cominciato a condividere video voyeuristici e non censurati di risse, furti di auto e altri problemi sulle strade. “Non è questo il nostro approccio,” afferma Bourge. “Noi preferiamo parlare con le autorità per produrre un cambiamento.”

Eppure, i critici sostengono che il cambiamento sia complicato da realizzare e che nel frattempo venga fatto troppo poco. Inoltre, ribadiscono che oltre alla natura problematica della criminalizzazione dei fumatori di crack, la mancanza di una volontà politica ha impedito l’espansione e l’aumento di strutture che in realtà hanno dimostrato di funzionare, come ad esempio le stanze legali per il consumo delle droghe.

“A Parigi ce n’è soltanto una, ma in paesi come la Germania, i Paesi Bassi e la Svizzera ci sono molte più strutture per abitante,” sostiene la direttrice di Gaia, April, il cui ente gestisce la stanza in questione a Parigi. “Zurigo, per esempio, ha quattro spazi di questo tipo e una popolazione molto più piccola. Ma nessuno ne vuole aprire un’altra a Parigi. E i politici non supportano il progetto.”

Le autorità presso il municipio di Parigi si sono rifiutate di rilasciare dichiarazioni, ma sostengono che gran parte dei soldi del Piano contro il Crack sia stato investito nell’aumento del pattugliamento della polizia e nel fornire alloggi e rifugi abitativi agli utilizzatori (la capienza degli alloggi cittadini è aumentata da 60 a 420).

Tuttavia, François Dagnaud, a capo del diciannovesimo arrondissement, insiste che il Piano contro il Crack è una pietra miliare della politica e che funzionerà sul lungo termine. “È la prima volta che tutti i poteri pubblici hanno riconosciuto l’enormità del problema,” sottolinea. “Lo ha fatto scomparire? No di certo. Per migliorare la situazione in maniera duratura abbiamo bisogno di una ‘doppia catena’: sia la polizia per fermare il traffico di droga che il personale socio-sanitario per aiutare.”

Per ora, utilizzatori come Jonathan, le cui vite sono state fatte a pezzi dal crack, continuano a soffrire di questo approccio paradossale. “Gli enti di beneficenza fanno un grande lavoro, fanno quello che possono,” conferma Jonathan. “Ma la repressione di polizia credo sia una montagna di merda. So che è difficile fermare gli spacciatori, ma di certo non dovrebbero attaccare chi ne fa uso. Siamo vittime di questa situazione tanto quanto tutti gli altri.”