Hard Rock Cafe
L'autrice oggi davanti l'Hard Rock Cafè di Firenze. Foto di Andrea Marzocchi
Cibo

Perché la mia generazione era ossessionata dall'Hard Rock Cafe?

Ho provato a ricostruire la storia della catena e a capire chi frequenta ancora oggi l'Hard Rock Cafe. Ma ho stoicamente resistito all'acquisto di una t-shirt.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

Per noi la maglietta di HRC sostituiva la foto di Instagram, per testimoniare che ci eravamo stati.

Qualche tempo fa mi sono imbattuta in una di quelle notizie capaci di scardinare i cassetti della memoria e tirarne fuori i ricordi meglio sepolti e le associazioni più improbabili. La notizia era che Hard Rock Cafe festeggiava i 50 anni di attività e per l’occasione nominava Lionel Messi il suo nuovo ambasciatore nel mondo.

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Quindi Hard Rock Cafe esiste ancora? Hard Rock Cafe ha degli ambasciatori? Ma soprattutto: dove sono finite tutte le mie magliette Hard Rock Cafe?

Sono cresciuta negli anni Novanta e ho avuto la fortuna di avere due genitori che mi hanno fatto viaggiare parecchio. Di alcuni di questi viaggi ho ricordi piuttosto vaghi, ma da qualche parte spunta sempre l’immagine di un Hard Rock Cafe, la musica che esce prepotente insieme a folate di aria condizionata.

“Eric Clapton donò una chitarra e poco dopo lo fece anche Pete Townshend. Così l’Hard Rock Cafe diventò un mausoleo del rock”

Non so esprimere a parole cosa mi affascinasse di quei locali, ma ricordo bene quanto l’attrazione fosse irresistibile. Forse mi spingeva lo stesso spirito di omologazione che spinge pre-adolescenti e adolescenti a voler andare dal McDonald’s. Forse le magliette erano davvero fighe.

Parlando con i miei coetanei 30-35enni le esperienze sono state più o meno le stesse a prescindere da dove vivessimo e a quale gruppo appartenessimo (io mi reputavo “un’alternativa”, figuriamoci). “In gita in quinta liceo a Roma abbiamo dovuto scegliere tra Hard Rock Cafe e Villa Borghese: indovinate un po' quale destinazione ha vinto in netta maggioranza,” mi racconta Marta Bianchi. “Ci sono stata anche in mete ben più lontane, tipo Beirut. Facevano drink così grossi e c'era così tanta aria condizionata che due persone con me hanno vomitato sulle scale.” Rincara Giovanni Spera: “Io grande fan delle tee dell'Hard Rock, ne ho comprate anche di false in città in cui Hard Rock Cafe non esisteva.”

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Hard Rock Cafe negli Anni Settanta. Foto per gentile concessione di Hard Rock Cafe

Hard Rock Cafe nasce il 14 giugno 1971 a Londra con l’apertura del primo ristorante in Old Park Lane vicino a Hyde Park. L’idea viene a Peter Morton e Isaac Tigrett, due giovani statunitensi che volevano creare un modello di fast food americano. “Erano molto giovani e in una società molto diversa da quella di oggi. Erano gli unici ad accogliere tutti senza alcun tipo di discriminazione, né razziale né sociale,” mi racconta Stefano Pandin, amministratore delegato Italia e Area VicePresident Europa di Hard Rock Cafe. “Con il motto ‘Love All - Serve All’ si trovavano a mangiare fianco a fianco operai e banchieri, immigrati e persone di colore.”

Poco dopo l’apertura Eric Clapton, frequentatore del locale, donò una chitarra. Lo stesso fece anche Pete Townshend: a queste donazioni ne seguirono altre fino a far diventare l’Hard Rock Cafe una sorta di mausoleo del rock. Al momento esistono circa 86.000 memorabilia in 239 location distribuite in 68 Paesi nel mondo — alcune delle quali sono Hard Rock Hotel e Hard Rock Casino.

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Gli interni di HRC Firenze. Foto per gentile concessione di Hard Rock Cafe

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Gli interni di HRC Firenze. Foto per gentile concessione di Hard Rock Cafe


E le famose magliette da dove nascono? “La Classic T con il logo Hard Rock Cafe è in assoluto uno dei pezzi più venduti al mondo. Il logo fu originariamente creato per il primo menu dall'artista Alan Aldridge e successivamente adattato per la famosa maglietta venduta oggi.”

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Se c’è qualcosa che accomuna tutte le storie di Hard Rock Cafe che ho sentito è che nessuno ci ha mai mangiato. “Nel paesino in cui abitavo da adolescente, indossare una maglietta HRC significava che eri uno che aveva viaggiato, che ‘se lo poteva permettere’ (o meglio la sua famiglia), che non era rimasto sempre nella solita piazzetta. Era una sorta di status symbol tra adolescenti,” racconta Vincenzo Ligresti. “A me non piacevano neanche troppo le magliette, ma la prima che ho avuto, quella con su scritto ‘Berlin,’ la portavo con grande vanto a 17 anni. Il paradosso è che la maglietta era un regalo e non avevo nemmeno mai preso un aereo in vita mia. Il primo aereo lo avrei preso un anno dopo per New York, dove nel gigantesco HRC di Time Square mi autoregalai quella con la scritta “New York”. Se ho, piuttosto, mai mangiato in un HRC? Non che io ricordi, neanche quando sono andato nel 2019 in quello di Manchester, dove sono finito a giocare a biliardino in mezzo a robe dei Beatles incorniciate e altri cimeli. A Berlino alla fine ci sono pure stato, ma l’obiettivo a quel punto era solo il Berghain—e lì con una maglietta HRC manco ti guardano all’ingresso.”

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Eppure quel Cafe nell’insegna lo dice chiaro e tondo: dovrebbe essere un posto dove si mangia, non un sancta sanctorum di pellegrinaggio.

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Foto per gentile concessione di Hard Rock Cafe

Dopo giorni passati a parlare di Hard Rock Cafe con qualunque mio coetaneo, decisa a coglierne l’essenza, o quantomeno una sua approssimazione, non potevo non visitarne uno. E così mi sono recata a quello di Firenze, in via dei Brunelleschi, il più vicino a casa mia. Si trova sotto un bel porticato nelle immediate adiacenze di Piazza della Repubblica. In un sabato mattina di luglio i turisti ricominciano a popolare le strade del capoluogo toscano — le quantità non sono minimamente paragonabili a quelle di due anni fa, ma si sentono nuovamente accenti americani, francesi e tedeschi. Ai tavolini sotto il porticato dell’HRC invece trovo quelli che all’apparenza sono… fiorentini. Una famiglia con bambino. Una coppia di anziane signore. Una coppia di ventenni.

Aveva già dato una sbirciata al menu che pareva orientarsi sugli hamburger (Legendary Burger, per la precisione) ma aggiungere anche piatti con qualche pretesa gourmand e un tocco di esotismo tipo l’antipasto di gamberi One night in Bangkok spicy shrimp. La colazione invece è molto internazionale: uova strapazzate, bagel con salmone affumicato, pancakes. I prezzi stanno tra gli otto e i sei euro per una portata, un espresso costa 1,75 euro, prezzi che nel centro di Firenze si attestano come economici. Su Tripadvisor paiono essere molto frequentati con buoni punteggi.

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Foto dell'autrice

L’Hard Rock Cafe di Firenze ha aperto dieci anni fa. Nonostante siano solo le undici di mattina dentro dentro trovo già persone — questi più con l’aria di turista, ma tendenzialmente italiani — che gironzolano. La musica c’è. L’aria condizionata pure. Dopo la sala souvenir c’è una sala con i tavoli alle pareti in stile diner americano, un gigantesco bancone bar centrale in marmo, un palcoscenico in fondo con la scritta Love All Serve All. Inizio a sbirciare tra gli oggetti. C’è una tutina da neonato che mi sento irresistibilmente spinta ad acquistare. Provo a convincere il mio compagno che sarebbe un bellissimo primo acquisto per nostro figlio, ma non lo convinco.

“Nella maggior parte dei casi uscivi con una delusione o un ‘ok e ora’ ma era un rito-pellegrinaggio del provincialismo”

Irrequieta, comincio a gironzolare tra gli scaffali e mi rendo conto che voglio comprare qualcosa. Non posso uscire da qui a mani vuote. Il mio compagno cede su un magnete da frigorifero. Una delle definizioni migliori che mi hanno dato di HRC è stata “Supreme prima di Supreme. Hard Rock Cafe proponeva una cosa che trovavi solo lì e da cui nella maggior parte dei casi uscivi con una delusione o un ‘ok e ora’ ma che era un rito-pellegrinaggio del provincialismo.”

Hard Rock Cafe è l’epitome della società dei consumi. O forse solo un rito di passaggio generazionale. Per noi la maglietta di HRC sostituiva la foto di Instagram per testimoniare che ci eravamo stati. Ma il suo fascino non si è appannato ora che le testimonianze di un viaggio sono altre. Una mia amica, che per lavoro accompagna comitive di 17-18 enni nei loro primi viaggi di lavoro all’estero, mi conferma che “ai ragazzini di quella fascia d’età piace ancora, non è un fatto generazionale.”

Insomma pare che noi millennials siamo meno speciali di quanto credessimo. Esco dal locale con una piacevole sensazione di soddisfazione. Sarà stata la mezz’oretta con l’aria condizionata, la musica, o forse l’aver speso 12 euro per quel magnete a forma di chitarrina che non so voi, ma a me pare davvero un affare.

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