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Tutte le foto di Pietro Viti per Munchies
Cibo

Queste frittelle di sangue di maiale sono lo street food dimenticato di Firenze

Si chiamano Roventini, pensavo che nessuno li facesse più legalmente a Firenze, e invece c'è ancora un banchetto ambulante che li realizza.

I roventini sono piccole crêpes dalla superficie porosa e screziata, fatte di sangue di maiale, farina e spezie, arricchite da un brodo di carne e fritte nell’olio o nello strutto.

Sono venuto a sapere che esiste un banchetto ambulante di roventini, quasi per caso. Pensavo fossero andati in pensione insieme a Sergio Ballerini, il mitico “Bersagliere” – si faceva chiamare così – che li faceva tra Campi Bisenzio e Firenze. I roventini sono le frittelle di sangue di maiale della tradizione fiorentina, ma prima di entrare nel dettaglio fatemi dire ancora due parole su quella che temevo fosse la loro scomparsa, almeno per quanto riguarda la vendita al pubblico. La faccenda è abbastanza semplice: si era arrivati al punto che la vulgata cittadina volesse che l’ultimo a farli fosse appunto il suddetto Bersagliere, e andato in pensione lui il destino della sinistra (per chi non la conosce) leccornia era segnato. Cinque anni fa, quando avevo saputo della sua intenzione di andarsene in pensione, avevo persino girato un video per un portale regionale

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Così una volta scoperta l’esistenza di un altro banchetto ambulante che in zona Montelupo Fiorentino continuava a smerciare roventini, non ho potuto che andarci di corsa. Chi me l’aveva detto aveva condito la soffiata con una voce leggendaria: a gestire il furgoncino è la figlia del Bersagliere, cerca gli orari su Facebook, si muove tra Ginestra e Montelupo Fiorentino.

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La veduta di Montelupo Fiorentino

Vado a vedere su Facebook e invece di una pagina trovo un profilo, che in effetti si chiama Roventini Montelupo, scorrendo le foto del quale trovo gli orari e i luoghi di appostamento del carretto e un numero di telefono. 

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Ambulante Roventini Firenze

Ginestra Fiorentina non è neanche un paese, è una fila di case su una superstrada, al termine della quale c’è una rotatoria con un’autorimessa, il furgoncino è lì, accanto al guard rail, orientato in modo apparentemente incongruo verso la carreggiata e non verso il parcheggio alle sue spalle. Dopo un po’ si capisce perché: alcuni clienti accostano l’auto direttamente sulla rotatoria, scavalcano la barriera di metallo e ordinano un paio di frittelle di sangue.

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I roventini sono piccole crêpes dalla superficie porosa e screziata, fatte di sangue di maiale, farina e spezie, arricchite da un brodo di carne e fritte nell’olio o nello strutto. Il gusto è davvero singolare, sebbene dall’umami molto marcato, è sorprendentemente delicato – siamo nel punto in cui si intersecano le crespelle salate, un’interiora dal sapore lieve (la milza?) e una salsiccia di sanguinaccio. Se non fosse rimasta solo Alessandra Arena a farli – si chiama così la proprietaria di questo piccolo (e vecchio, credo sia un Volkswagen degli anni Sessanta) van attrezzato a carretto ambulante – non mancherebbero variazioni anche spiccate, così come vari sono i modi con cui vengono chiamati i roventini. 

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Il sangue i signori lo buttavano via, di conseguenza i plebei lo utilizzavano per farci queste frittelle o il mallegato

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Alessandra Arena, la proprietaria del food truck dei roventini a Ginestra Fiorentina - Montelupo FIorentino.

“Ogni paese gli dava un nome”, mi dice Alessandra Arena mentre le chiedo di prepararmene un paio, “in italiano si chiamano roventini, però a Montelupo sono covaccini, anche se in realtà a guardare il vocabolario il covaccino è una schiacciata… C’è poi chi li chiama migliacci” – termine che da vocabolario si riferisce genericamente a delle frittelle di farina, originariamente di miglio – “chi ciaccini, altri sanguinacci…”

Mentre versa una mestolata rosso acceso nella padellina unta generosamente, penso alla parola sanguinaccio e alla varietà di preparazioni che indica nella cucina italiana: oltre a essere sinonimo di roventini, con sanguinaccio si indica l’insaccato a base di sangue di maiale – che da queste parti è noto come biroldo (a Lucca), buristo (verso Siena) o mallegato (intorno a Pisa), e che nel resto d’Italia ha una varietà di nomi che spaziano da bodin a marzapane, passando per sangiari, sangeli e mustardela; e una bevanda dolce fatta di cioccolato e farina – ed eccoci già più vicini all’impasto dei roventini.  

Nei roventini il sangue era diluito con il brodo, anche il brodo era di maiale e pure quello era fatto con le parti povere: si aggiungevano un po’ di farina e un po’ di spezie e il risultato a livello calorico era più o meno è quello di una fettina di carne

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Alessandra continua il suo racconto: “sono un prodotto tipico fiorentino, usato dai poveri, come il lampredotto. Il sangue i signori lo buttavano via, di conseguenza i plebei lo utilizzavano per farci queste frittelle o il mallegato”. Per non correre il rischio di perdersi qualche possibile cliente tra le auto che sfrecciano sulla superstrada Alessandra sul suo furgoncino ha scritto in un bel rosso squillante tutti i sinonimi che le sono venuti in mente: roventini, migliacci, covaccini. L’olio in padella sta raggiungendo il calore necessario. “Nei roventini – continua a spiegare – il sangue era diluito con il brodo, anche il brodo era di maiale e pure quello era fatto con le parti povere: si aggiungevano un po’ di farina e un po’ di spezie e il risultato a livello calorico era più o meno è quello di una fettina di carne”.

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Al di là della tradizione, le chiedo come le cucina lei queste frittelle. “Io faccio il brodo di carne, poi ci aggiungo la farina, il sangue di maiale, sale, pepe e spezie toscane… di sangue c’è un 25-30%. Li cuocio in padella con olio extravergine di oliva”. Mentre lo dice mi chiede come lo voglia condito, se con parmigiano, zucchero o Nutella. Ne prendo uno col parmigiano, che in realtà è il condimento più classico, e mi accorgo che i roventini di Alessandra Arena sono molto più delicati di quelli che faceva il Bersagliere. 

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L'autore che assaggia i Roventini


Ripenso alle parole che mi disse lui, perché le due interpretazioni rappresentano due precise scuole – e peccato che ormai sia possibile assaggiarne solo una versione (a meno di non farseli a casa: non semplicissimo a causa del reperimento del sangue, come dirò tra poco). “Noi a Campi Bisenzio facciamo una variante un po’ più elaborata – mi diceva Sergio Ballerini –, a Firenze oltre al sangue e alla farina qualcuno mette appena un po’ di spezie – infatti se a Firenze non li condisci con parmigiano e pepe non è che sappiano di tanto…”

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Difendeva la sua versione il Bersagliere, certamente più saporita ma a mio avviso anche meno accessibile – me la sento di sbilanciarmi però, io la preferivo. “A Campi – continuava – la variante è quella di Pellegrino Artusi, di sangue ce n’è poco nei migliacci che faccio io, alla base di tutto c’è una pappa fatta di pane, con un soffritto, dell’aglio, sale, pepe, un po’ di rosmarino, una spezia particolare, che non è in commercio e il tutto cotto nel brodo. Ogni cosa va dosata al grammo, se si mette troppo aglio l’impasto prende d’acuto, se si esagera con le spezie le frittelle vengono troppo saporite. La pappa che si ottiene va allungata con pochissimo sangue e con della farina, e il tutto infine deve essere fritto nel grasso di maiale… A Firenze i roventini si cuociono in delle padelline con l’olio, mentre a Campi le facciamo in una grande teglia di rame unta di strutto”.

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Perché si è smesso di farli? La risposta più semplice è perché il sangue è diventato sostanzialmente vietato, a partire dal 1992. In Italia la legge prevede che non si possa vendere sangue fresco al dettaglio

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Nel tempo di questa visita capita qualche avventore, gente che si ferma in automobile e scavalca il guardrail, o qualcuno che arriva a piedi dal pugno di case qui dietro. Alcuni si fermano per il lampredotto – Alessandra Arena dopo aver rilevato il furgoncino ambulante dal vecchio proprietario ha ampliato l’offerta includendo il grande classico dello street food fiorentino –, ma incuriositi decidono di assaggiare anche i roventini, che stranamente non conoscono. Un signore ne compra venti e li porta via – anche se, lo dice già il nome, sarebbero da mangiare espressi, roventi. Un altro ricorda che da bambino a Firenze, all’arco di San Pierino, veniva mandato dal padre a comprarne buste intere per la cena – un tempo erano molto più diffusi.

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Perché si è smesso di farli? La risposta più semplice è perché il sangue è diventato sostanzialmente vietato, a partire dal 1992. In Italia la legge prevede che non si possa vendere sangue fresco al dettaglio, e la misura ha senso in misura in cui il sangue è effettivamente un alimento deperibile, nonché potenziale veicolo di patogeni. Per commerciarlo tutti i giorni è necessario una speciale autorizzazione della ASL, deve essere preso in macelli che seguono le norme CEE e conservato sempre a un grado. “Quando vado ai macelli a San Miniato – mi dice Alessandra – gli porto il bossolo sterile e loro me lo ridanno pieno di sangue. Io non posso neanche entrare, una volta ho fatto un passo all’interno perché faceva freddo e mi hanno subito mandato fuori. Lì è tutto sterilizzato. La carne se frollata va avanti anche mesi, il sangue dura due o tre giorni, bisogna trattarlo in un certo modo”. 

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Il sangue veniva mangiato ovunque e per ottime ragioni: oltre al fatto che un tempo nulla andava sprecato – e il sangue costituisce il 10% del peso corporeo dei capi abbattuti – il sangue è di fatto un superfood

Oltre alle ragioni sanitarie, se il sangue è uscito in modo così deciso dalle nostre tavole lo dobbiamo anche al suo essere entrato nella sfera del tabù. Un tempo in effetti il consumo di sangue era molto più diffuso, senza contare che essendo un ottimo addensante, in questo simile all’uovo, veniva spesso usato anche per legare le salse. Come ricorda Dario De Marco in questo articolo, il sangue era usato in tutto il mondo in zuppe, frittelle (come i roventini) e pancake; e ancora: in Cina ci si prepara una sorta di tofu, nelle Filippine c’è il dinuguan (uno stufato cotto nel sangue), in Corea il sundae (una salsiccia, più o meno), in Vietnam il bun bo hue (una zuppa), in Colombia la pepitora (un piatto di riso e interiora di capra cotte nel sangue dell’animale). Insomma, veniva mangiato ovunque e per ottime ragioni: oltre al fatto che un tempo nulla andava sprecato – e il sangue costituisce il 10% del peso corporeo dei capi abbattuti – il sangue è di fatto un superfood: ha poco colesterolo, è composto quasi esclusivamente di proteine, è ricco di ferro e di vitamina D.

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Mentre rifletto su queste cose ripenso al roventino con la Nutella: sangue e cacao sembrano un azzardo da MasterChef, uno di quelli che possono finire male… eppure anche il sanguinaccio dolce, ossia la bevanda di sangue e farina, era arricchita col cacao. Assaggio il roventino alla Nutella e l’abbinamento è singolarissimo: a seconda del morso, come in un esperimento di fisica quantistica, esplode alternativamente in bocca solo uno dei due sapori, o quello della Nutella o quello del roventino – ma il retrogusto lasciato dal morso precedente è avvolgente e la combinazione felicissima.

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