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Tutti quelli che devono chiedere scusa alla famiglia di Stefano Cucchi

“Capisco il dolore di una sorella che ha perso il fratello, ma mi fa schifo,” aveva dichiarato Matteo Salvini.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Matteo Salvini; Stefano Cucchi.

Dopo nove anni, abbiamo un’immagine chiara come non mai di cosa successe la notte della notte dell’arresto di Stefano Cucchi: la discussione tra Cucchi e i carabinieri che l’hanno arrestato, gli schiaffi in volto, la caduta violenta sul bacino, i calci in testa mentre Stefano era a terra, lo choc e lo stato di prostrazione del 31enne dopo il pestaggio. A raccontarlo nel corso del processo-bis è stato Francesco Tedesco—uno dei carabinieri imputati di omicidio preterintenzionale.

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Tedesco ha messo a verbale di essere “rimasto zitto per anni” per paura di ritorsioni; “successivamente sono stato sospeso e mi sono reso conto che il muro si sta sgretolando e diversi colleghi hanno iniziato a dire la verità.”

Alla luce di queste rivelazioni, Ilaria Cucchi ha preteso una cosa molto semplice: le scuse. “Ci chieda scusa chi ci ha offesi in tutti questi anni,” ha scritto su Facebook, “Ci chieda scusa chi in tutti questi anni ha affermato che Stefano è morto di suo, che era caduto. Ci chieda scusa chi ci ha denunciato."

Il primo nome che è venuto in mente a molti è quello di Matteo Salvini. Nel gennaio 2016, quando Ilaria Cucchi postò sulla propria pagina Facebook una foto di Tedesco, l’attuale ministro dell’interno disse “capisco il dolore di una sorella che ha perso il fratello, ma mi fa schifo” e “si dovrebbe vergognare.”

Lo stesso aveva poi rincarato la dose affermando che “io sto sempre e comunque con polizia e carabinieri. Se l'1% sbaglia deve pagare, anche il doppio. Però mi sembra difficile pensare che ci siano poliziotti o carabinieri che hanno pestato per il gusto di farlo.” Ieri Salvini si è ben guardato dal porgere le scuse; anzi, ha ribadito che “non può mettere in discussione professionalità e eroismo quotidiani di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi in divisa.”

Ma il caso Cucchi—così come gli altri casi di malapolizia—è affollato di negazionisti. E tra i più accaniti spiccano alcuni sindacalisti di polizia.

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Dopo l’assoluzione in appello degli imputati nel primo processo, l’ex segretario del Sap (Sindacato autonomo di polizia) e ora parlamentare della Lega Gianni Tonelli dichiarò che “se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze. Senza che siano altri, medici, infermieri o poliziotti in questo caso, ad essere puniti per colpe non proprie.”

Tonelli è stato poi condannato nel 2018 dal tribunale di Bologna a 500 euro di multa per “diffamazione aggravata in continuazione” nei confronti della famiglia Cucchi, per questa ed altre frasi. La sorella lo definì uno “specialista del fango sulle famiglie di vittime di abusi” che “ha fatto e fa politica sulla nostra pelle.”

Franco Maccari, segretario del Coisp, nel 2016 affermò senza alcun dubbio che “Stefano Cucchi non è morto per un presunto pestaggio,” e che tutto il caso è una “vergognosa montatura mediatico-giudiziaria” volta a “gettare fango su tutte le forze dell’ordine.” Rincarando la dose, aggiunse persino di aspettarsi “le scuse da parte di tutti coloro che, familiari, giornalisti, politici e quant’altro, hanno sposato ad occhi chiusi la tesi dell’uccisione dell’uomo in un violento pestaggio, senza neppure attendere un riscontro dei fatti.”

Nel 2014, il segretario del Sappe (Sindacato autonomo di polizia penitenziaria) Donato Capece arrivò a querelare la sorella sostenendo che Stefano Cucchi “aveva preso le distanze parecchio” dalla famiglia, che l’aveva “abbandonato.” In più, disse, “quelle fratture [si riferisce alle lesioni alle vertebre causate dalla spinta di D’Alessandro] rinvenute dall’esperto erano vecchie. Probabilmente è stato picchiato, ma prima.”

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Oltre ai sindacalisti ci sono poi altri politici come Salvini. A pochi giorni dalla morte di Cucchi, ad esempio, l’allora ministro della difesa Ignazio La Russa era già pronto a mettere la mano sul fuoco sull’innocenza dei carabinieri. “Non ho strumenti per accertare,” dichiarò, “ma di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione.”

Il principale scalatore dello schifo, tuttavia, rimane e rimarrà sempre lui: Carlo Giovanardi. Col tempo, l'ex senatore ha sviluppato una vera e proprio ossessione nei confronti del caso e della famiglia Cucchi.

Nel 2013, alla Zanzara, disse che “le ecchimosi sul corpo di Stefano Cucchi sono dovute alla mancanza di nutrizione, non c’entrano niente le botte.” Nella stessa intervista, spiegò pure che “quello che gli è successo deriva dal mondo che frequentava. È morto perché i medici, anziché curarlo, hanno preso per buone le dichiarazioni di sciopero della fame.”

L’anno successivo, Giovanardi rincarò la dose su Cucchi: “La droga ha una responsabilità perché gli ha rovinato la vita. Cucchi è una vittima di una vita difficile, in cui più volte era stato coinvolto in pestaggi da parte di quel mondo che frequentava. Bisogna stare lontani dalla droga, lo dico ai ragazzi.”

E ancora, nel 2016, il politico se la prese con Ilaria Cucchi: “Sostiene che il fratello è morto per le fratture? Davanti a 20 periti e a 4 dei più grandi luminari italiani che si sono pronunciati, non credo certo agli asini che volano.” Poi, giusto per gradire, incolpò ancora una volta Stefano della sua stessa morte: “Se Cucchi avesse condotto una vita sana, se non si fosse drogato, se non fosse entrato in un tunnel che l’ha portato agli arresti, non sarebbe successo.”

Nemmeno l’ammissione del pestaggio da parte del carabiniere lo ha smosso di un millimetro. “Non devo chiedere scusa alla famiglia Cucchi, perché dovrei farlo?”, si è chiesto provocatoriamente. Per poi tornare, ancora una volta, sul solito chiodo fisso: “Tutte le perizie dicono che la prima causa di morte di Cucchi è stata la droga, e sicuramente la droga è stata una concausa del suo destino.”

Appurata la cronica incapacità di provare rimorso o imbarazzo, per lui—e altri che in queste ore hanno magicamente perso il dono della parola—vale dunque quella di Ilaria: “Chi ha fatto carriera politica offendendoci si deve vergognare.”

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