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Stato Islamico

Abbiamo incontrato uno degli europei andati a combattere IS insieme ai curdi

La scorsa estate, Jacques - un comunista francese di 20 anni - ha abbandonato tutto per unirsi al YPG e aiutare i curdi a sconfiggere lo Stato Islamico.
Foto di Sedat Suna/EPA

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Il Kurdistan siriano - o Rojava, come viene chiamato dai 4 milioni di abitanti della regione - si trova nel nord della Siria, lungo il confine turco. Nel 2012 il Partito di Unione Democratica (PYD) - un gruppo associato al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), una formazione di estrema sinistra - ha dichiarato l'autonomia del Rojava dallo stato siriano.

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Da allora, il braccio armato del PYD, noto come YPG (Unità di Protezione del Popolo) ha lanciato una guerra totale contro il sedicente Stato Islamico (IS). Allo stesso tempo il gruppo ha dato vita a quello che descrive come un sistema di governo "democratico e autonomo" nelle zone sotto il suo controllo.

Il 13 Novembre, mentre Parigi veniva colpita da una serie di attacchi terroristici coordinati, IS subiva sconfitte pesanti in Siria e in Iraq. In collaborazione con i peshmerga iracheni, il YPG si è impadronito di numerose postazioni di IS, bloccando le principali linee di rifornimento verso la capitale autoproclamata di Raqqa.

La scorsa estate, Jacques (il nome è di fantasia), un comunista francese di 20 anni, ha abbandonato tutto per unirsi al YPG, partecipare alla rivoluzione di Rojava, e aiutare a sconfiggere IS. Questa settimana Jacques - soprannominato Sirat dai suoi compagni - ha concesso a VICE News un'intervista esclusiva dal fronte siriano.

VICE News: Perché sei venuto nel Kurdistan siriano?
Jacques: Principalmente sono venuto per partecipare a questa rivoluzione. Sono stato un militante marxista internazionalista rivoluzionario fin dalla mia adolescenza. Sarebbe stato da ipocriti osservare quello che succede oggi in Siria da lontano. L'YPG sta organizzando il suo territorio in base a un'ideologia socialista e libertaria, creando delle municipalità in ogni località che libera.

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Sono venuto qui anche per aiutare il popolo curdo. Sono stati martirizzati e perseguitati da ogni tipo di regime, discriminati nel corso della storia, ma hanno un enorme grado di resistenza. Sono stati in grado di evitare di tornare nel medioevo come gli altri popoli oppressi e invece sono rimasti alla finestra. Un altro aspetto è che il loro nemico principale, Daesh [l'acronimo arabo di IS] è oggi l'incarnazione del neofascismo. La mia scelta di [unirmi] è anche la decisione di un fervente "antifa."

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Una foto di "Jacques" risalente a dopo gli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre scorso.

Come sei entrato in contatto con loro?
Attraverso il gruppo "Leoni di Rojava" su Facebook. Li ho contattati con un messaggio privato. Poi loro hanno organizzato il mio viaggio. Non ne avevo parlato con nessuno perché sapevo che avrebbero cercato di dissuadermi. Ho lavorato per qualche mese per potermi permettere il viaggio e per mettere via dei risparmi in caso di necessità. Poi ho preso un aereo per Sulaymaniyya, nel Kurdistan iracheno, e da lì loro si sono presi cura di me. Dato che il confine tra Siria e Iraq è chiuso, ho dovuto vestirmi come un peshmerga per entrare nel Kurdistan siriano.

Hai avvertito la tua famiglia?
Sì e no. Ma non sono affari tuoi.

Puoi descrivere l'addestramento che hai ricevuto?
L'addestramento dura due settimane dal momento dell'arrivo dei volontari, ed è molto minimale: utilizzo del kalashnikov, allenamenti fisici e rudimenti di strategia militare. Il motivo per cui non ti insegnano molto all'inizio è che sanno che un sacco di foreign fighter non sono in grado di farcela e torneranno a casa dopo qualche settimana.

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Quanto sono dure le condizioni?
Le condizioni di vita sono estremamente dure. Aggiungici poi le incomprensioni culturali e la realtà della guerra… Ma molti di quelli che restano hanno forti convinzioni politiche e credono alle ambizioni politiche del Kurdistan siriano.

"I partiti politici internazionalisti europei non hanno né il coraggio né la volontà di agire"

Chi sono gli Occidentali che si uniscono al YPG?
Quelli che vedi sui media non sono per niente esempi realistici: sono ex soldati diventati crociati o avventurieri spericolati che posano con le pistole ma in realtà tendono a nascondersi. Ho incontrato dei veri psicopatici che sono assetati di guerra e che sparano a qualsiasi cosa vedano. La loro brama di copertura mediatica sta mettendo in ombra gli altri volontari, che costituiscono la maggior parte dei combattenti: le persone che hanno scopi politici e sono qui più per la rivoluzione di Rojava che per lo Stato Islamico.

Hai incontrato altri cittadini francesi?
Ne ho incontrati quattro: due ex legionari che sono della vera gentaglia, un giovane ragazzo che sembra un vagabondo, un attivista. Gente di questo tipo non mi interessa. Ribadisco che essi rappresentano solo una minoranza dei volontari. Nella mia unità ci sono quattro tedeschi, un italiano, un americano e loro sono dei veri compagni. So che ce ne sono altri ma non li ho mai incontrati.

È giusto dire che si tratta di una brigata internazionale, come quelle che combatterono nel corso della guerra civile spagnola tra il 1936 il 1938?
In un certo senso sì. Ci sono delle unità che raccolgono persone che fanno parte del movimento comunista internazionalista, ma la portata non è la stessa. In realtà, i partiti politici internazionalisti europei non hanno né il coraggio né la volontà di agire, anche se sbandierano le proprie convinzioni. Si battono sui marciapiedi in Francia ma non stanno facendo assolutamente niente di concreto per la causa curda. Preferiscono distogliere lo sguardo, forse perché hanno paura dell'impegno, forse a causa dell'ipocrisia. Sono rivoluzionari da poltrona. Se veramente vogliono osservare una rivolta devono venire qui e vederla con i propri occhi.

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Che tipo di accoglienza hai ricevuto dalla gente del posto?
Abbiamo ricevuto un caldo benvenuto, è quasi imbarazzante. La gente non crede che qualcuno possa viaggiare migliaia di chilometri per difendere la causa di Rojava.

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Il 13 ottobre Amnesty International ha pubblicato un rapporto accusando l'YPG di crimini di guerra, tra cui lo sfollamento di massa dei civili, la distruzione dei villaggi… Hai assistito all'esecuzione di qualche maltrattamento da parte dell'YPG?
Assolutamente no. Queste sono cazzate. Loro [gli osservatori di Amnesty International] sono rimasti lì per due settimane e poi se ne sono andati. Sì, alcuni villaggi sono stati distrutti, ma per motivi strategici principalmente. L'YPG ha un approccio molto umanistico alla guerra. Il loro scopo è quello di liberare la gente dalla tirannia di IS.

Può descrivere la vita all'interno della tua unità?
La mia unità è composta interamente da comunisti — per la maggior parte curdi provenienti dalla Siria e dalla Turchia. Si tratta di una gerarchia militare orizzontale e non portano alcun emblema. Quando usciamo per un pattugliamento il maggiore fa strada. È la posizione più pericolosa da tenere perché se venissimo colpiti da un dispositivo esplosivo lui sarebbe il primo ad andarsene. Di notte l'intera unità si riunisce per discutere su che cosa non funziona. Può non sembrare una cosa importante ma quando vivi tutto il giorno con un gruppo di ragazzi aiuta a sciogliere la tensione.

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Come si svolge la vita di tutti i giorni sul fronte?
La verità è che, quando ti trovi al fronte, non hai niente da fare per il 90 per cento del tempo. Avere a che fare con la noia può essere difficile. Ma in un minuto puoi passare dalla noia più totale al combattimento militare intenso. Con tutte quelle forze alleate puoi essere ucciso a causa di un semplice fraintendimento. Una volta ci stavamo lavando in un fiume e una brigata è comparsa sull'altra riva. Ci siamo quasi uccisi prima di renderci conto che fosse una milizia che difendeva uno dei villaggi vicini. E poi ci sono gli esplosivi che sono sparpagliati ovunque, il rischio di un'imboscata… Se sei sempre sotto stress anche se non c'è molto da fare, a parte bere tè e fumare sigarette. Non puoi permetterti di pensare o la tua mente vagabonda… E questo è solo quando non stai combattendo.

"Non sono commosso dal nazionalismo: non sono qui per sventolare la bandiera della civilizzazione Occidentale"

Che cosa intendi dire?
All'incirca due mesi fa - ho perso il conto del tempo - ci trovavamo al fronte, impegnati a rafforzare le nostre posizioni. Ci stavano sparando con armi antiaeree e razzi. Correvamo più veloci che potevamo per rifugiarci e prima di tornare indietro per erigere le barricate. Abbiamo passato la notte nascosti in un edificio che era stato bersagliato dalle bombe… C'era questo giovane ragazzo turco che controllava il suo orologio in silenzio ogni due secondi. Ha continuato così per due ore, credo che l'abbiano mandato a casa. Non puoi permettere che la tua mente divaghi.

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Hai preso parte alla recente offensiva guidata dagli iracheni e i curdi siriani conto lo Stato Islamico?
Sì, è stato estenuante. Combattevamo da tre settimane. All'apice dell'offensiva, ci hanno ordinato di fortificare una postazione in un cimitero. Abbiamo dovuto scavare trincee ed erigere barricate di pietra mentre il nemico ci sparava. È stato difficile come scavare la propria tomba. Ma ecco il risultato: è stata una vittoria totale. Abbiamo ripreso il controllo della città di al-Hawl e altri sette villaggi lì intorno. Abbiamo aperto una nuova via verso Raqqa. Ho visto la gente di IS - sempre dipinta come determinata e pronta a morire per difendere le proprie posizioni - scappare come ratti.

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Come sei venuto a sapere degli attentati di Parigi?
Mi trovavo al fronte. Alcuni compagni hanno sentito la notizia alla radio. È un massacro… Ma non preoccuparti, al contrario di quello che pensa la gente, qui [i combattenti dello Stato Islamico] stanno venendo respinti veramente.

Come ha reagito la tua unità?
Come puoi immaginare hanno visto cose simili prima d'ora. Ma erano molto compassionevoli. Si tratta di commilitoni e compagni.

Che idea ti sei fatto di questi attacchi?
Certamente questi attacchi mi colpiscono, perché stanno succedendo a casa. Ma come ho già detto, non sono commosso dal nazionalismo: non sono qui per sventolare la bandiera della "civilizzazione Occidentale", ma per sostenere la rivoluzione in Rojava. Questi attacchi mi rendono ancora più certo di combattere per una buona causa.

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La coalizione occidentale ha dichiarato di voler intensificare la propria campagna militare in Siria e in Iraq. Che cosa possono fare la NATO e la Russia per aiutare?
Niente. Le interferenze occidentali sono sempre state disastrose. Noi siamo 15.000 combattenti YPG determinati. Siamo la più organizzata ed efficiente organizzazione nella lotta contro lo Stato Islamico. Li conquisteremo.

 "Sono esattamente dove dovrei essere. Oggi sto lottando per l'unica causa meritevole."

Che cosa ne pensi delle incursioni aeree?
È importante riconoscere che gli aerei svolgono un ruolo chiave nelle nostre offensive. Limitano i movimenti delle truppe dello Stato Islamico e distruggono l'artiglieria che devono continuamente portarsi in giro. Da un punto di vista psicologico, l'impatto su di loro è enorme. Quando gli aerei si tuffano incontro ai nemici e gli sparano con le loro armi automatiche, il rumore che fanno… È come se il diavolo stesse scendendo sulla terra. Una volta ho visto un jihadista che era stato ucciso da uno di questi cannoni. Aveva un buco al posto della faccia. Si riusciva a vedere sola la barba intorno al collo. Ma non sono uno stupido. Ogni volta che i poteri imperialisti intervengono, vogliono qualcosa in cambio. L'YPG dovrà pagare per questo sostegno, ma non ha alcuna scelta.

Pensi che ritornerai mai in Francia?
A essere onesto, non sono sicuro di tornare indietro vivo. Di sicuro mi mancano molte cose: fare feste, bere birra, le ragazze… Ma oggi, i miei progetti futuri sono in stand-by. Alla fine tutto diventa una routine — anche la guerra. Non puoi permetterti di pensare, altrimenti la tua mente va a spasso e non va bene. Quindi cerco di non proiettarmi [nel futuro].

Perché hai voluto parlare ai media oggi?
Penso sia importante ricostruire la verità di questa guerra, di come i curdi siriani la stanno combattendo. Gli YPG hanno dimostrato il loro valore nel corso delle battaglie con IS, anche mentre stanno portando avanti una rivoluzione a casa propria. C'è in atto una riorganizzazione completa della società — stanno portando la democrazia a della gente che non l'ha mai avuta. Voglio anche che la gente guardi ai volontari in modo diverso. Per la maggior parte di loro, le motivazioni politiche sono sincere e non si tratta di crociati fanatici.

Hai qualche ripensamento?
Non ha alcun ripensamento. Sono esattamente dove dovrei essere. Rimarrei qui più a lungo se potessi farlo. Oggi sto lottando per l'unica causa meritevole.

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