FYI.

This story is over 5 years old.

sesso

Ho partecipato al primo corso italiano per assistenti sessuali per persone disabili

Al momento in Italia non è possibile esercitare, ma io ho voluto capire di che si tratta.
Cristiana  Bedei
come raccontato a Cristiana Bedei
Dal nostro documentario sul sesso assistito.

Fino a qualche anno fa nemmeno sapevo che esistessero gli assistenti sessuali per persone disabili. In Italia se ne parla poco, è una professione ancora ufficialmente non riconosciuta, e chi ne ha sentito parlare in molti casi la associa a quella di una sex worker che offre prestazioni a pagamento un po’ come Helen Hunt che aiuta Mark O’Brien in The Sessions.

Ho cominciato a interessarmi a questa professione nel 2012, leggendo un articolo sul caso svizzero: è stato allora che ho scoperto che questa figura lì non solo esiste, ma è legale e regolamentata—come anche in Olanda, Germania, Austria e Danimarca. Sono rimasta immediatamente affascinata dalla questione, forse anche perché sono sempre stata una persona molto empatica e interessata alle questioni etiche e relative alla sfera sessuale.

Pubblicità

Ho cercato di reperire informazioni sulla situazione italiana e ho cominciato a seguire l'evoluzione del progetto LoveGiver, fondato nel 2013 dall’attivista per i diritti dei disabili Maximiliano Ulivieri proprio per introdurre la figura dell’assistente sessuale anche nel nostro paese. Ad oggi, infatti, le persone disabili ricorrono soprattutto alle prostitute—o ai propri familiari—per avere una vita sessuale. È stato grazie alla sua battaglia che si è creato un comitato che, sotto la guida di Ulivieri stesso e con l’appoggio del senatore (PD) Sergio Lo Giudice, è riuscito successivamente a presentare in Parlamento un disegno di legge sulla sessualità assistita per persone con disabilità nell'aprile del 2014.

Allora seguivo tutto lo sviluppo della situazione con interesse, e quando, poco dopo l'approdo in Parlamento del progetto, si sono aperte le selezioni per la formazione dei primi aspiranti assistenti sessuali d’Italia, ho deciso di candidarmi.

A questo punto, forse, vi state chiedendo il perché di questa "vocazione", ed è necessario dare qualche altra informazione su di me: ho 32 anni e niente di ciò che ruota intorno alla sessualità mi imbarazza. In passato ho lavorato per un'azienda di consulenze sessuali e sex toy. Non ho esperienza di disabilità nella mia famiglia—l’unico amico disabile che ho vive lontano—eppure trovavo assolutamente logico e sensato il fatto che ci si occupasse anche nel nostro paese della sfera sessuale di queste persone. E che questa battaglia mi riguardasse in prima persona.

Pubblicità

Eppure, anche per scaramanzia, quando ho fatto le selezioni per il corso non l’ho detto a nessuno. E nonostante le mie più ferme convinzioni sull’importanza e la portata di questa iniziativa, ammetto di aver aspettato l’ultimo giorno utile per iscrivermi.

È facile in retrospettiva vedere cosa mi stesse succedendo: avevo paura. Non tutti hanno le caratteristiche psico-sessuali giuste (ovvero equilibrate) per questo ruolo, avevo il timore di non essere all’altezza, di scoprire insicurezze personali che non conoscevo, e sentivo il peso della responsabilità che avrei avuto se mi avessero preso. E forse un po' mi spaventava anche confrontarmi con le persone che mi stanno più vicine. Ora posso dire invece che i miei familiari, i miei amici, il mio compagno, che sono tutti a conoscenza della mia decisione, mi sostengono. Allora, però, dovevo ancora cominciare un percorso di condivisione di pensieri e opinioni a riguardo.

Comunque, è andata bene e sono stata selezionata. Era la fine del 2014, ma con il disegno di legge che era—ed è tuttora—fermo al Senato, il corso è stato avviato soltanto lo scorso settembre, per dare in realtà solo un segnale che il progetto continua ad andare avanti, al di là delle tempistiche legislative. Negli anni, degli iscritti qualcuno si è ritirato perché la sua vita è cambiata, qualcuno si è aggiunto perché nel frattempo sono continuate le selezioni. Io, documentandomi e partecipando a diversi eventi, sono arrivata al settembre 2017 sempre più convinta che la sessualità sia un diritto di tutti.

Pubblicità

E così eccomi al corso. Chiariamoci: il progetto parlamentare mira a formare professionisti in grado di gestire un aspetto complesso e delicato come quello della sessualità, ma non si tratta di fornire prestazioni sessuali tout-court. Non sono previsti rapporti completi, non si parla da nessuna parte di penetrazione né di sesso orale. Quello che i partecipanti e futuri assistenti si preparano a offrire è un’esperienza erotica e sensuale che può consumarsi in modalità diverse, ma arrivare soltanto fino alla masturbazione. Il numero di incontri tra "cliente" e assistente, inoltre, è limitato e stabilito sin dall’inizio.


Guarda il nostro documentario sul 'sesso assistito':


Il lavoro dell'assistente consiste nell'accompagnare il cliente in un percorso di scoperta dell’esperienza sensoriale e del piacere, ma anche di ricerca di autonomia—e i modi per farlo vanno dal semplice massaggio al corpo a corpo, fino a stimolare e a far sperimentare l’orgasmo. E parlo di lavoro perché è quello che è, anche se anche riguardo ai compensi nel nostro paese non c’è niente di definito. Potrebbe essere al pari di un altro tipo di consulenza, psicologica per dire, ma bisognerà vedere quale sarà l’inquadramento normativo una volta approvata la legge.

Da settembre ad oggi ho passato due weekend a Bologna, uno al mese, per seguire i primi due moduli delle 200 ore di corso previste. Qui ho incontrato una ventina di persone come me, uomini e donne di ogni orientamento; persone con storie molto diverse, accomunate da una forte capacità di entrare in contatto profondo con gli altri. Quando si parla di prestazioni nell’ambito della sfera sessuale, in molti pensano a ragazze giovani e disinibite, ma la verità è che esistono persone completamente diverse che si affacciano a una professione come questa.

Pubblicità

In uno degli incontri più intensi del corso, è venuta a farci lezione un’assistente sessuale tedesca che da quasi 20 anni fa questo lavoro. Vedere una donna dell’età di mia madre, che parla del suo lavoro e racconta delle vicende—anche dolorose—in cui si è imbattuta nella sua carriera è stata un’esperienza che mi ha segnato particolarmente. Mostra davvero il limite dei molti preconcetti che continuano a proliferare sull’argomento.

Come primo passo, abbiamo fatto corsi intensivi di approfondimento. Oltre alle lezioni "tecniche" con psicologi, sessuologi e medici che possono informarci sulle diverse tipologie di disabilità, comprendere quali atteggiamenti proporre e quali eventualmente correggere e aiutarci a gestire al meglio le complesse situazioni che ci troveremo ad affrontare, abbiamo fatto anche esercizi sul respiro, concentrandoci sulle sensazioni del proprio corpo. Il primo lavoro da fare è infatti su se stessi.

Comunque è tutto qui, per ora: sebbene il percorso di formazione professionale sia stato avviato, resta il fatto che al momento, in Italia, non è possibile esercitare e non lo sarà per un tempo che resta ancora da determinare.

Ovviamente, chi è fortemente contrario faticherà a capire le motivazioni più profonde, ma credo che la maggioranza della gente sia semplicemente disinformata sull’argomento, non si sia mai interrogata a riguardo e d’istinto si senta intimorita. Ma io sono fiduciosa: l'ha capito il mio compagno, e l'ha capito anche mia madre, su cui avevo qualche dubbio—nonostante la mentalità aperta. Perché, ripeto, è una scelta che ha meno a che fare con il sesso di quanto abbia a che fare con i diritti e la civiltà.

Segui Cristiana su Twitter