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analisi

Quanto sono messe male le pensioni dei giovani italiani rispetto all'estero?

Ossia: quanto sono nella merda i giovani italiani rispetto ai coetanei stranieri?
Foto di Images Money/Flickr

Se la disoccupazione giovanile al 39,8 per cento (+0,4 per cento a ottobre su base mensile) o l'ultimo posto sui 28 paesi OCSE per numero di laureati non fossero dati di per sé già abbastanza angoscianti, ci ha pensato Tito Boeri, Presidente dell'Inps, a rafforzare i motivi di preoccupazione per i giovani italiani.

In un intervento al convegno "Pensioni e povertà oggi e domani," lunedì scorso Boeri ha lanciato un avvertimento sulle pensioni della "generazione 1980," cioè le persone che "avranno 70 anni nel 2050:" secondo una simulazione dell'Inps, chi oggi ha 35 anni potrà ritirarsi solo a 75 anni, ricevendo una pensione del 25 per cento più bassa rispetto a oggi.

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"Se l'economia italiana non cresce al di sopra dell'1 per cento l'anno e se non ci sarà una maggiore stabilizzazione del lavoro con prospettive di carriera più lunghe […] ci potrebbero essere problemi seri di adeguatezza delle pensioni future," ha spiegato Boeri.

"C'è bisogno di un sistema di assistenza di base che protegga queste persone dal rischio di povertà soprattutto quando saranno vicini all'età pensionabile. È un problema molto serio per le pensioni del futuro, per i giovani che avranno 70 anni nel 2050."

Entro il 2019 in Italia l'età pensionabile per tutti i lavoratori - donne e uomini, autonomi e dipendenti - sarà unificata e innalzata a 66 anni e 7 mesi. In media la spesa per le pensioni pubbliche tra il 2010 e il 2015 è arrivata a rappresentare il 15,7 per cento del PIL, quasi il doppio della media dei paesi OCSE—del 7,9 per cento.

Nonostante l'innalzamento dell'età pensionabili dovrebbe riuscire in qualche modo a ridurre la spesa pubblica destinata al sistema previdenziale, stando al report dell'OCSE Pensions at a Glance 2015, "l'invecchiamento rapido della popolazione, il contesto di bassa crescita economica e le persistenti difficoltà sul mercato del lavoro esercitano un'ulteriore pressione sulle finanze del sistema pensionistico."

È proprio la sostenibilità del sistema previdenziale italiano, infatti, a destare le maggiori preoccupazioni. Secondo il Melbourne Mercer Global Pension Index per il 2015, l'Italia è ultima sui 25 paesi analizzati proprio per quel che riguarda la sostenibilità delle pensioni. E nonostante il trend generale delineato dall'OCSE indichi la necessità di un aumento generalizzato dell'età pensionabile in diversi paesi (lo ha prescritto, tra gli altri, al Regno Unito, alla Francia e agli Stati Uniti), l'Italia sembra essere un unicum per la drammaticità delle previsioni sull'età dei futuri pensionati.

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In aggiunta, secondo una ricerca del Servizio Studi di Montecitorio, per i giovani italiani che attualmente hanno meno di 35 anni, l'età pensionabile più verosimile - al 2050 - dovrebbe essere di 69 anni e 9 mesi: la più alta tra i 30 Stati messi a confronto.

Per cercare di capire quale sia la situazione degli attuali e dei futuri pensionati italiani rispetto agli altri paesi del mondo, e comprendere se lo scenario sia davvero tanto diverso da quello dei coetanei stranieri, VICE News ha analizzato i sistemi pensionistici di quattro paesi OCSE.

Regno Unito

Ad aprile 2016 in Gran Bretagna entrerà in vigore il nuovo sistema pensionistico statale. La pensione minima per chi accumula 35 anni di contributi equivarrà a 155,65 sterline alla settimana, circa 215 euro.

Secondo le previsioni del governo inglese, quindi, un giovane lavoratore di 23 anni può prevedere di raggiungere l'età pensionabile al compimento del 68esimo anno di età. Rispetto al passato, non esiste alcuna distinzione tra uomini e donne.

Nel sistema attuale - che sarà abolito a partire da aprile - un lavoratore può ricevere, in aggiunta alla pensione base, un assegno statale che varia da 1 a 200 sterline alla settimana, calcolato in base allo stipendio ricevuto nel corso della carriere lavorativa. Per chi andrà in pensione dopo il 2016 questo contributo aggiuntivo non sarà più disponibile.

In aggiunta all'assegno statale, esistono una serie di pensioni complementari che funzionano a grosso modo come il TFR italiano. A partire dal 2012 ogni lavoratore viene automaticamente iscritto al fondo pensionistico scelto dal suo datore di lavoro. In questo caso, una fetta del suo stipendio mensile viene dirottato nel fondo con l'aggiunta di un contributo fornito dal datore di lavoro.

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Secondo i dati dell'OCSE, attualmente la spesa previdenziale del Regno Unito è pari al 5,6 per cento del suo PIL. L'OCSE spiega come, essendo l'aumento dell'età pensionabile legato all'aumento delle aspettative di vita (come in Italia, del resto), in futuro in Gran Bretagna sempre più lavoratori finiranno per lavorare almeno fino ai 70 anni.

Francia

In Francia, a una pensione di base si affiancano degli schemi pensionistici occupazionali obbligatori basati su un sistema a punti. in pratica, per ricevere la pensione pubblica piena sono necessari 41 anni circa di contributi connessi al raggiungimento dell'età minima di 61 anni e due mesi, o in alternativa il raggiungimento dell'età di 66 anni e due mesi.

La riforma del 2010 prevede l'aumento dell'età pensionabile minima dai 60 ai 62 anni entro il 2017, e l'aumento dell'età per ottenere la pensione piena da 65 a 67 tra il 2016 e il 2022. Secondo l'OCSE, la Francia è il paese in cui il periodo in cui si usufruisce della pensione è più lungo, principalmente perché l'uscita dei lavoratori dal mercato del lavoro avviene molto presto.

Nel "regime generale" delle pensioni è prevista una pensione minima contributiva, il minimum contributif, che si ottiene al raggiungimento dell'età pensionabile minima e senza requisiti di reddito. Nel 2014 questa pensione minima contributiva ammontava a 7.548 euro l'anno. Esiste anche un contributo di assistenza agli anziani basato su criteri patrimoniali o di reddito, l'Allocation de solidarité aux personnes âgées (APSA), che dal 1 ottobre 2014 ammonta a 9.600 euro l'anno per una persona singola.

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Secondo i dati OSCE, la Francia destina il 13,8 per cento del PIL per le pensioni pubbliche, circa cinque punti percentuali al di sopra della media OCSE.

Il sistema pensionistico francese è al 13esimo posto nell'indice Melbourne Mercer - appena davanti agli Stati Uniti - nonostante la sua performance sia migliorata in maniera abbastanza significativa negli ultimi cinque anni. Per migliorare il giudizio complessivo sul suo sistema previdenziale, la Francia dovrebbe alzare gradualmente l'età pensionabile e aumentare il numero di persone impiegate anche in età più avanzata.

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Spagna

In Spagna vige un sistema contributivo che, ad oggi, scatta al compimento dei 65 anni. L'età pensionabile è però destinata ad aumentare gradualmente fino a raggiungere entro il 2027 i 67 anni, sia per gli uomini che per le donne. Ai lavoratori viene attualmente anche offerta l'opzione di andare in pensione anticipata a 61 anni, in caso di disoccupazione forzata, o a 63 anni, in caso di disoccupazione volontaria. Chi usufruisce di questa possibilità deve però rassegnarsi a ricevere un assegno di valore inferiore.

L'importo della pensione viene generalmente calcolato sulla base dei contributi versati nel corso degli ultimi 17 anni di lavoro. Il sistema pensionistico spagnolo prevede una serie di valori minimi e massimi percepibili in base alle condizioni di vita del pensionato. Per chi vive da solo, la pensione minima ammonta a 634,50 euro al mese, un importo che sale fino a 781 euro al mese per chi invece ha anche un coniuge da mantenere.

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La pensione statale massima può arrivare fino a 2.500 euro al mese - il secondo importo più alto in Europa dopo quello del Lussemburgo. La Spagna spende il 10,5 per cento del PIL per finanziare il suo sistema pensionistico.

Stati Uniti

Negli Stati Uniti vige un sistema previdenziale progressivo. Al 2014, l'età pensionabile è di 66 anni, ma sarà aumentata a 67 anni entro il 2022.

Il contributo previdenziale che andrà a costituire la pensione di un americano diminuisce gradualmente ad ogni fascia di reddito guadagnato dalla persona: per un guadagno tra gli 816 e i 4.917 dollari al mese, il lavoratore si ritroverà il 32 per cento della somma guadagnata come contributo pensionistico. Dai 4.917 dollari al limite di guadagno mensile imponibile, cioè 117.000 dollari al mese, il lavoratore riceverà il 15 per cento del guadagno mensile come contributo pensionistico.

In aggiunta esiste il Supplemental Security Income, una somma destinata a tutti i cittadini al di sopra dei 65 anni con basso reddito che rientrano nei rigidi criteri patrimoniali o di reddito. Un individuo che rientra in questi criteri può ricevere una somma massima di 8.652 dollari l'anno come contributo aggiuntivo.

Al sistema pensionistico pubblico si affianca anche un eventuale contributo privato volontario, mentre si può scegliere di andare in pensione anticipata a 62 anni ma con una riduzione della pensione variabile per ogni anno di anticipo. Secondo i dati OCSE contenuti nel report Pensions at a Glance 2015, gli Stati Uniti spendono il 6,7 per cento del PIL per il sistema previdenziale pubblico, al di sotto della media OSCE del 7,9 per cento.

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Nonostante questo, il tasso di povertà tra gli anziani negli Stati Uniti è il sesto più alto tra i paesi OCSE. Per assicurare la sostenibilità del sistema, l'OCSE prevede che dovrà essere aumentata ulteriormente l'età pensionabile negli anni a venire.

Secondo il Melbourne Mercer Global Pension Index, il sistema pensionistico americano si è deteriorato negli ultimi anni, in particolare dopo la crisi finanziaria del 2008. Questo declino è causato principalmente dall'aumento dell'aspettativa di vita e dalla ridotta stima dei fondi disponibili grazie ai contributi pensionistici. Gli Stati Uniti si sono classificati 14esimi su 25 nell'indice per il 2015.

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Illustrazione di Wren McDonald