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Mafia

In Spagna la catena di ristoranti La Mafia offre viaggi premio “nell’Italia del Padrino”

La catena di ristoranti spagnola "La Mafia" ha lanciato un concorso che mette in palio un viaggio in Sicilia per conoscere le radici del fenomeno mafioso.
Immagine via Twitter

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"Dove c'è pizza c'è mafia," diceva un pentito di 'ndrangheta intercettato nell'ambito dell'inchiesta che cercava di far luce sulla strage di Dusiburg, in Germania.

Da qualche anno è nota la storia della catena spagnoli di ristoranti "La Mafia se sienta a la mensa" (la Mafia si siede a tavola): si tratta di un franchising composto da circa 37 ristoranti a tema sparsi per la penisola iberica, molto noto nel paese e spesso impegnato in iniziative benefiche.

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Con circa cinquecento dipendenti e un giro d'affari stimato dall'Espresso per oltre 20 milioni annui, la catena ha festeggiato quest'anno i quindici anni dalla sua nascita.

Per l'occasione la società, insieme a Coca Cola, ha lanciato a novembre il concorso "Viaja a la Italia de El Padrino": un'estrazione settimanale per tutto il mese di novembre che metteva in palio - a chiunque avesse ordinato Coca Cola in uno dei ristoranti della catena - un tour attraverso "Siracusa, Palermo, l'Etna, la valle dei Templi e tutto ciò che ha contribuito alla nascita della leggenda del Padrino," si legge sul sito. "Ti aspettiamo".

Il caso è stato scoperto dall'associazione antimafia Cosa Vostra, che parla di "apologia mafiosa": se non lo è questo, ha spiegato il fondatore Francesco Trotta, "non sappiamo cos'altro potrebbe essere."

"Non c'è solo un riferimento, ma un esplicito binomio tra la nostra isola e la criminalità organizzata."

De camino a casa y vimos La Mafia… Imposible resistirse a entrar ;-) pic.twitter.com/DQMrS1nbuS

— Restaurante La Mafia (@LaMafia_rest) December 2, 2015

Lo stesso brand, "La Mafia," è stato al centro delle attenzioni della stampa italiana qualche mese fa: in un videoreportage, il giornalista di Repubblica Attilio Bolzoni era andato a visitarne i locali e a intervistare alcuni responsabili, che si erano messi in difesa dell'esercizio ammettendo che, pur comprendendo il fastidio degli italiani per un'iniziativa del genere, in realtà "non facciamo apologia di terrorismo: si vede dal fatto che abbiamo messo una rosa nel logo, e non una pistola."

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Nel video, Bonini notava come per iscriversi nel "club" del ristorante fosse necessario compilare uno modulo recante la scritta "Benvenuti nella famiglia."

Lo scorso febbraio il vice presidente della commissione nazionale antimafia Claudio Fava aveva presentato un'interrogazione parlamentare chiedendo un intervento delle autorità spagnole per far cambiare il nome alla catena.

Interrogata da VICE News Italia, il settore marketing della società non ha ancora rilasciato dichiarazioni. Uno dei principali locali del gruppo con sede a Barcellona - città che secondo i dati AIRE ospiterebbe almeno 22mila italiani - ha spiegato alla nostra redazione che non hanno avuto ancora modo di ricevere feedback locali e lamentele di italiani, essendosi da poco conclusa la promozione, e non ne conoscono l'impatto.

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Malgrado le difese della società, che tramite il direttore commerciale Pablo Martinez Escolar aveva detto "il nostro è un nome meramente commerciale che non vuole assolutamente essere recepito come vicino o favorevole alla criminalità," la commercializzazione del brand "mafia", soprattutto all'estero, rischia comunque di perpetuare lo stereotipo italiano fuori dai confini nazionali, portando a riconfermare - una volta di più - l'equazione "Italia=mafia" e a legittimarne l'operato e l'esistenza.

In particolare, sarebbe soprattutto la Sicilia a uscirne più coinvolta: se da un lato è vero che le origini geografiche di Cosa Nostra affondano ovviamente in Sicilia, dall'altro è pur vero che di mafia solo siciliana, o solo al Sud, o solo in Italia, non è più possibile parlare—che si tratti di una versione cinematografica della cosa (come Il Padrino) o meno.

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Nuestros platos te transportan a Italia. Ahora, tu tarjeta fidelity, también ¡Y 100% real!? https://t.co/rGlCwlIGVO pic.twitter.com/eLHQyekVKc

— Restaurante La Mafia (@LaMafia_rest) November 26, 2015

È di questi giorni, peraltro, la notizia di un altro caso di commercializzazione del marchio "mafia."

A Favara, in Sicilia, l'imprenditore agrigentino Calogero Simone sta producendo da circa un anno un liquore dal nome "Amaro del boss." "Il fatto è che in Sicilia abbiamo una mentralità chiusa: si legge la parola 'boss' e si pensa subito alla mafia," aveva spiegato il produttore al sito MeridioNews.

Non è l'unico esempio: Coldiretti, nel marzo dell'anno scorso, aveva lanciato un allarme sull'espansione dei brand con riferimenti alla mafia per i prodotti italiani, soprattutto per l'estero. Sul mercato si possono infatti trovare articoli come la pasta "Mafia," il caffè "Mafiozzo," il limoncello "Don Corleone," le spezie "Palermo Mafia Shooting."

"La nostra ricerca ha consentito di scoprire nel mondo un vero mercato dell'orrore che fa affari su una delle piaghe più dolorose della nostra società," aveva spiegato il presidente di Coldietti Roberto Moncalvo.

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Una tendenza che "danneggia l'immagine dell'Italia all'estero, ma soprattutto colpiscono profondamente i tanti italiani che sono stati o sono purtroppo vittima della criminalità organizzata."

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Iniziative dal carattere così fortemente simbolico come queste, peraltro, rischiano di arrecare anche danni di tipo diverso nell'immaginario collettivo.

Come spiegava nel febbraio del 2014 il sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia Maurizio De Lucia, "la proposizione di modelli vincenti sono influenti sui giovani, e se questi modelli sono deviati il rischio emulazione diventa piuttosto concreto."

Paradossale il fatto che, come noto già dal 2010, nelle maggiori città italiane come Milano e Roma, un locale su cinque sia effettivamente proprietà della mafia—quella vera. Come riportava Repubblica, "se ci fosse una contabilità unica, si scoprirebbe che i clan possiedono una holding dal 16mila addetti," 5mila locali e un fatturato di più di un miliardo all'anno.


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