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gli attentati di parigi

In foto: gli attacchi di venerdì visti con gli occhi dei parigini

I volti e le voci dei parigini, testimoni e sopravvissuti.

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Parigi due giorni dopo "la follia", come la chiamano alcuni, ha un altro volto. Un volto cianotico, dopo un'apnea di 24 ore. È come se avesse appena ripreso a respirare. Quelli che ieri sono rimasti chiusi in casa oggi hanno deciso di uscire e di ricominciare la loro vita, nonostante tutto. Nonostante siano sopravvissuti ai propri amici.

Nonostante abbiano perso due figlie di poco più di vent'anni. Nonostante i rumori degli spari ancora risuonino nelle loro orecchie, vicinissimi com'erano nella sala del Bataclan, mentre si trovavano al piano superiore; spari abbastanza chiari da renderli lucidi e spingerli ad arrampicarsi sui tetti di Parigi.

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Chi è sceso in strada oggi chiede di non avere paura, perché ad averne si fa il gioco dei terroristi. I sensi si acuiscono e rimangono in allerta, ma è l'ora di mostrarsi coraggiosi. "Per attaccarci hanno aspettato che fosse passata la paura di Charlie Hebdo, hanno aspettato che ci sentissimo al sicuro e poi ci hanno colpito dritti al cuore," dicono molti parigini, cresciuti o adottati dalla capitale francese.

E intanto affollano Place de la République, si uniscono ai cori della "resistenza", cantando e stonando Hey Jude, dei Beatles, Wonderwall, degli Oasis, fino ad arrivare alla Marsigliese, inno nazionale che ben si accompagna ai colori della bandiera dipinti per le strade della città.

Tutte le fotografie sono di Alessandra Lanza/VICE News.

Jerome

"Come sto? Non lo so. Non bene." Jerome è uno dei sopravvissuti dell'attacco al Bataclan: sembra quasi non crederci mentre lo racconta. Lo sguardo perso nel vuoto, ricorda una storia che - dice - non dimenticherà mai. Quando i primi spari sono stati esplosi, Jerome si trovava al primo piano del teatro con alcuni amici, perso nella musica degli Eagles of the Death Metal. "Abbiamo pensato fosse parte dello show – racconta –, ma poi la band ha smesso di suonare e le persone, al piano di sotto, hanno cominciato ad alzarsi o a cadere sotto i proiettili." Spiando dalla balaustra Jerome ha visto un sacco di morti, calpestati da chi stava cercando di salvarsi. "Ci siamo nascosti dietro alle poltroncine e abbiamo gattonato fino a una stanza in cui decine di persone stavano urlando e piangendo." L'istinto di sopravvivenza ha spinto lui e altri spettatori a forzare le uscite di sicurezza e a salire sul tetto del locale. "Mentre fuggivo ho perso di vista i miei amici: correndo sui tetti sono arrivato fino alla finestra di un appartamento privato dove stavano nascoste altre 30 persone. Alla fine saremo stati lì dentro in 70, in completo silenzio e coi cellulari spenti, per non farci scoprire. La cosa assurda è che chi era a casa poteva seguire quello che stava succedendo dalla televisione, mentre noi non sapevamo niente." Arrivato a casa, quella notte, non è riuscito a chiudere occhio. "Sabato ho preso quattro pillole per dormire e ho passato la giornata a letto." Per la strada incontra i suoi amici, che lo salutano con un lungo abbraccio e una pacca sulla spalla, come a dire "tu, per fortuna, ce l'hai fatta."

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Belle

Belle ha poco più di 50 anni e origini tunisine: nel nord Africa ci è nata e conserva lì ancora parte della sua famiglia, ma è cresciuta e si è sposata a Parigi. Il suo cappotto è a pois, come il foulard che le copre i capelli, in rispetto alla religione musulmana. Siede su una panchina di Boulevard de Voltaire con lo sguardo assente: pensa alle due figlie che ha perso nelle sparatorie di venerdì. "Quella sera sono rimasta a casa – spiega –. Non mi sentivo bene e non avevo appetito, così non le ho accompagnate per la cena. Non sono più tornate." Belle non ha lacrime, le ha piante tutte ieri. "Quegli uomini non hanno agito per religione, la nostra religione non professa violenza o uccisioni. Perché non possiamo vivere tutti insieme, in pace? Cristiani, ebrei, musulmani: che differenza fa?"

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Emma

Emma ha appena finito di dipingere un lenzuolo bianco con la vernice rossa: il sangue contro la purezza. Lei e le amiche dell'Association Artistes à la Bastille, a cui è iscritta da qualche mese, lo appenderanno vicino ai luoghi delle stragi, per dare il proprio contributo in ricordo delle vittime. "Sono nata qui, in questo quartiere – racconta – e se non personalmente, almeno di vista conosco tutti quelli che ci abitano." E alcuni di loro, sono morti venerdì. A salvarla, quella sera, la pigrizia. "Ho rimandato l'appuntamento coi miei amici perché ero un po' stanca." I parigini, quando gli si chiede se hanno paura, rispondono spesso di no, ma la ragazza ammette una verità diversa. "Sì, un po' ne ho. Non possiamo fare altro che avere paura, anche se ammetterlo è doloroso, perché ci fa sentire inutili e deboli. Il loro target adesso siamo noi giovani: sanno che non ci vogliamo arrendere e che se fanno del male a noi fanno del male anche ai nostri genitori." C'è stato Charlie Hebdo e Emma sa che il peggio non è ancora passato, "ma proprio per questo bisogna reagire, per non dargliela vinta."

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Ibrahim

"Io ero a casa a guardare la partita Francia-Germania. Ad avvisarmi via messaggio dell'accaduto è stato proprio il mio amico Sofiane: non volevo crederci, all'inizio ho pensato fosse uno scherzo." Chi non ha visto quelle cose con i propri occhi, secondo Ibrahim, non può nemmeno immaginare che cosa sia successo. Per questo lui e i suoi amici sono in Place de la République, per partecipare al dolore di Parigi e per aiutarla a rialzarsi.

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Marie

"Quando venerdì sera ho sentito le sirene della polizia, sempre più vicine, ero in casa. Poco dopo il mio vicino ha bussato alla mia porta, è entrato e ha acceso la televisione, catapultandoci in una doppia e bizzarra realtà, in cui le sirene che ancora sentivamo arrivare dalla mia finestra facevano il paio con quelle trasmesse dal telegiornale: nessuno dei due voleva crederci." Marie, 39 anni, è stilista e abita e lavora vicino a Le Bataclan, nella sua casa-studio. "Per questo esco poco di casa." Ma sabato pomeriggio è uscita, nonostante la paura, per vedere coi suoi occhi quello che la televisione da due giorni continua a filtrare. La sua domenica scorre tranquilla, lei seduta a prendere un caffè fuori da un bar di Rue de la Folie Mericourt, nel via vai ritrovato dei francesi, a pochi passi dal caos di telecamere e giornalisti che presidiano la zona. "La vita deve andare avanti."

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Gilbert & Steve

Padre e figlio, vivono poco fuori Parigi, ma hanno pedalato fino a Place de la République per partecipare alla resistenza della città. "Non ho paura e voglio che nemmeno mio figlio ne abbia: tutto quello che dobbiamo fare è mostrarci uniti contro il terrore."

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Dilan

Affacciato alla finestra del salotto di rue Alibert, il ragazzino di origini portoghesi guarda la processione di fiori e candele, portati da parigini e non di fronte alle saracinesche chiuse del Carillon, uno dei locali presi di mira dai terroristi venerdì sera. Dilan ha sentito chiaramente gli spari, era in casa mentre stava succedendo tutto. e ha potuto spiare quello che è successo dopo. Il suo volto non tradisce alcuna paura: è come se lo shock non lo avesse ancora reso del tutto consapevole degli eventi di cui è stato testimone e che vengono continuamente proiettati sullo schermo del televisore di quel salotto.

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Matthew

Ha 24 anni, insegna inglese ai bambini scuole elementari di Parigi: vive qui da gennaio, ma è nato e cresciuto in Inghilterra. Venerdì sera si trovava a casa di un amico, in zona Bastille, non lontano da Le Bataclan. Dovevano andare a una festa in quella zona, attraversando i luoghi delle stragi. Poco prima di uscire, però, hanno sentito gli spari in lontananza e hanno capito che qualcosa non andava: il telegiornale ha risposto presto alle loro domande. A mezzogiorno di domenica Matthew cammina sicuro in direzione di Place de la Republique, per vedere coi suoi occhi come la città sta reagendo due giorni dopo l'attacco. «Io non ho paura – dice –. Ma non sono esattamente tranquillo. È come se mi sentissi molto più consapevole e attento a ciò che mi sta intorno, come se avessi un senso in più».

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Sofiane

"Venerdì sera sono uscito molto tardi dalla biblioteca dove stavo studiando insieme a un compagno," racconta Sofiane, studente di medicina di 22 anni, mentre insieme ai suoi amici Ibrahim e Soriba aspetta Adile. Stanno seduti sulle scale di Place de la République, a chiacchierare del più e del meno. "Ho attraversato quasi tutte le strade dove ci sono stati gli attentati per raggiungere il mio appartamento: quando ho chiuso la porta di casa dietro di me sono cominciati gli spari." A informarlo sull'accaduto Twitter e i telegiornali. "Ho telefonato e cercato di contattare via messaggio tutti i miei amici, per essere sicuro che stessero bene." Lunedì Sofiane andrà all'ospedale, come ogni lunedì, ma "so che non sarà la stessa cosa. Incontrerò i miei colleghi, che hanno lavorato lì per tutto il weekend, un weekend molto diverso dagli altri."

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Soriba

Ventiquattro anni, il più vecchio dei quattro amici, quando è successo tutto era in metropolitana. "Eravamo tutti tranquilli, come in una serata qualsiasi, in cui non ci aspettava nessuna catastrofe." Poi hanno iniziato a squillare i cellulari e la notizia, insieme alla paura, ha iniziato a diffondersi. "Sappiamo di dover fare molta più attenzione di prima, adesso, quando camminiamo per strada, ma non possiamo permettere che ci spingano a chiuderci in casa."

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Diane

Diane ha 25 anni e cammina frettolosa verso un appuntamento. Non ha una gran voglia di ricordare quello che è successo appena due giorni prima. Venerdì sera si trovava con il suo fidanzato in un café di Rue Oberkampf, a pochi metri dal teatro della morte: erano seduti accanto alle finestre un bicchiere di vino. Ad un certo punto gli spari e le grida. "Ci siamo immediatamente allontanati dalla vetrata e ci siamo nascosti all'interno del locale: per almeno due ore siamo rimasti bloccati lì dentro insieme ad altre persone." Confusione generale, fatta di domande, respiri affannati e telefonate continue. In quelle ore e in quelle successive "mi hanno chiamato tutti, per essere sicura che stessi bene: i miei, gli amici, i parenti." Ci si può sentire al sicuro, oggi? "Non si può far altro. Io mi sento al sicuro, o almeno, spero tanto di esserlo."

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Adile

"Ho molta più paura che dopo Charlie Hebdo," confessa Adile, che nel frattempo ha raggiunto i suoi amici. "I terroristi questa volta non hanno colpito dei giornalisti, ma dei ragazzi come noi che si stavano divertendo e non hanno visto il pericolo arrivare." Secondo Adile e gli amici ritrovati, non si tratta di un episodio isolato, ma di qualcosa che potrebbe succedere di nuovo. Appena un quarto d'ora dopo, il falso allarme in Place de la République, che ha fatto fuggire la folla radunatasi durante la giornata.

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Tutte le fotografie di Alessandra Lanza/VICE News.