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La comunità ebraica non è davvero più al sicuro in Francia?

Mentre molti nella comunità ebraica più grande d'Europa sembrano intenzionati a emigrare, altri rispondono con le ronde: ne abbiamo parlato con il responsabile parigino del Betar, una milizia di autodifesa ebraica.

La "marcia repubblicana" dell'11 gennaio 2015 a Parigi. Foto di Etienne Rouillon/VICE News.

Dopo Israele e Stati Uniti, la Francia ospita una delle comunità ebraiche più grandi del mondo. Oggi, a causa della percezione di una crescente insicurezza, molti all'interno di questa comunità sembrerebbero prendere in seria considerazione l'ipotesi di emigrare.

Negli ultimi anni, infatti, le segnalazioni di atti antisemiti hanno subito un'accelerazione. E se da un lato questi sono perseguiti con fermezza (la lotta contro razzismo e antisemitismo è stata dichiarata gran causa nazionale da Hollande nel 2012), e possono costare il posto di lavoro al direttore artistico della Maison Dior, dall'altro prospera anche un'insofferenza traversale nei confronti di quanti, in un crescendo di allarmismo paranoico, denuncino come antisemita chiunque starnutisca a meno di cento metri da una sinagoga.

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Il dibattito su cosa possa essere realmente considerato pericoloso è parecchio acceso, e ha portato una parte della comunità ebraica a lottare persino contro un "nuovo antisemitismo", che vedrebbe una comunione di intenti fra sinistra radicale, estrema destra e islamisti, nonché ad accusarsi reciprocamente di essere antisemiti. Di questo clima ne ha fatto le spese anche Siné, storico disegnatore di Charlie Hebdo, trascinato in tribunale nel 2008 dalla LICRA (Lega Internazionale contro il Razzismo e l'Antisemitismo) per una vignetta controversa, salvo poi essere prosciolto dalle accuse.

Sempre in Francia, la polarizzazione del dibattito ha anche favorito la radicalizzazione di persone come Dieudonné, il controverso comico che dopo aver lavorato per anni in coppia con la sua spalla Élie Semoun, un ebreo, si vide censurato a seguito di uno sketch televisivo in diretta nel quale, travestito da ebreo ultraortodosso con passamontagna, affermava essersi convertito al "sionismo radicale per delle ragioni professionali," suggerendo che lo show business è gestito da una lobby ebraica.

Passato dall'acclamazione al silenzio stampa, Dieudonné in pochi anni ha raccolto un vasto seguito di persone che non sanno più individuare limiti precisi fra il panico e la reale incitazione all'odio razziale: ha inventato la quenelle (un gesto accusato di essere antisemita), chiude i suoi spettacoli cantando Show Ananas (leggere: Shoah-nanas) e a ottobre ha provato a lanciare un partito politico chiamato, l'ironia è involontaria, "Riconciliazione Nazionale". Il 14 gennaio, Dieudonné è stato arrestato dalla polizia francese con l'accusa di apologia di terrorismo per aver affermato su Facebook "Je suis Charlie Coulibaly."

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Un manifestante fa la quenelle durante la "Giornata della rabbia" a Parigi, 26 gennaio 2014. Foto di Arthur Limiñana e Frédéric Travert.

In questo contesto, l'uccisione di quattro ebrei durante i recenti attentati a Parigi, cominciati con il massacro dei giornalisti di Charlie Hebdo, è l'ultimo atto, il più violento, di una tensione che attraversa la Francia da diversi anni. Il 12 gennaio 2015 il Primo ministro Manuel Valls ha annunciato davanti all'Assemblea Nazionale lo stanziamento di 10.500 soldati che andranno ad affiancare 4.000 agenti di polizia per proteggere le scuole ebraiche e altri luoghi sensibili (tra cui sinagoghe e centri culturali ebraici), rendendo il numero dei militari francesi operativi nell'Esagono superiore a quelli mobilitati in Africa (8.500).

Un simile dispositivo, tuttavia, difficilmente potrà contrastare il crescente sentimento di insicurezza che si è diffuso nella comunità ebraica e che ha portato alla formazione di organi di sostegno istituzionali come il CRIF, il Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni ebraiche di Francia, e la sua emanazione diretta, e il SPCJ, Servizio di Protezione della Comunità Ebraica.

Accanto a queste ci sono anche organizzazioni più controverse, come le fazioni di autodifesa LDJ —Lega di Difesa Ebraica, che negli Stati Uniti è classificata come organizzazione terroristica—e Betar, la milizia dei giovani sionisti anti-comunisti importata a Parigi negli anni Sessanta, che conta ormai 500 membri addestrati al Krav-maga. Il loro obiettivo è la difesa della comunità ebraica e la lotta contro l'anti-giudaismo, spesso tramite intimidazioni violente e un posizionamento politico pericolosamente vicino all'estrema destra sionista.

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Per farmi spiegare come operino concretamente ho contattato Yair, nome di battaglia del responsabile francese del Betar, che commenta l'annuncio di queste impressionanti misure di sicurezza come "la prova del fallimento dello Stato francese." Prima o poi, continua Yair, "bisognerà prendere atto che è dalla Seconda Guerra Mondiale che non c'era stato bisogno di mandare l'esercito per difendere gli ebrei. Ecco perché esistiamo: ci difendiamo, combattiamo i nazislamisti. Agiamo nell'ombra, dove le forze dell'ordine non arrivano, ma rifiuto l'etichetta di estremisti o razzisti: colpiamo in base al torto subito. Considerateci come dei pacifisti che reagiscono."

A partire dalla seconda Intifada, il Betar si è dedicato con rinnovata forza a difendere il "popolo eletto" a forza di slogan e manganello, incitandolo a uscire dal "vittimismo comunitario." "L'Ebreo impaurito non esiste più, ora l'Ebreo reagisce," mi dice Yair. "Fra le persone che partecipano ai nostri corsi di autodifesa c'è persino una madre di famiglia di 47 anni." Sul loro account Twitter, fra l'invito a non fare l'albero di Natale e non festeggiare il Capodanno (non consoni ai veri credenti), compaiono anche retweet dei loro alleati della LDJ: "La prossima volta che un ebreo abbasserà gli occhi, sarà per guardare un antisemita soffrire ai suoi piedi."

La prochaine fois qu'un Juif baisse la tête, ce sera pour contempler un antisémite souffrir à ses pieds. — LDJ Paris ✏ (@LDJ_France)January 3, 2015

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Durante la presa di ostaggi dello scorso 9 gennaio nel supermercato kosher a Porte de Vincennes, quattro macchine piene di militanti del Betar si sono precipitate sul luogo, pronte a intervenire nel caso in cui le teste di cuoio avessero fallito, non prima di aver invitato i loro simpatizzanti a indossare in tutta urgenza il tefillin.

Ma gli ebrei francesi hanno ragione ad aver paura? Il Ministero degli Interni conferma l'incremento di azioni antisemite di varia natura (dall'ingiuria all'attacco diretto) durante i primi sette mesi del 2014, per un totale di 527 segnalazioni. In tutto il 2013 erano state 423, ossia il 40 percento di tutti gli atti razzisti sul territorio.

Per confortare l'analisi, all'opinione pubblica basta aprire i giornali. Ai grandi drammi—come la strage di Tolosa del 19 marzo 2012, quando Mohammed Merah ha ucciso tre bambini e un professore all'uscita di una scuola ebraica prima di essere abbattuto dalle forze dell'ordine—si affiancano eventi di minore portata che sembrano però ricorrenti.

A seguito di una manifestazione pro-palestinese dello scorso luglio, ad esempio, gruppi di giovani a viso coperto si sono affrontati a Sarcelles, una cittadina fuori Parigi che ospita un'importante comunità ebraica, distruggendo tutto quello su cui sono riusciti a mettere le mani: macchine, negozi e bar.

Solo pochi giorni prima del massacro al Charlie Hebdo, alcuni organi di informazione (spesso comunitari, come la Tribune Juive, Le Monde Juif o ancora JSS News) hanno riportato, in sequenza: un lancio di mattoni contro un ristorante gestito da ebrei (6 novembre); un'aggressione a una coppia di Créteil, lei violentata, lui picchiato per ottenere dei soldi che doveva avere in quanto "ebreo, quindi ricco" (2 dicembre) ; degli spari contro una sinagoga (23 dicembre) ; e una rapina ai danni di un giovane quindicenne (30 dicembre).

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Regolarmente denunciati da associazioni come l'Ufficio Nazionale di Vigilanza contro l'Antisemitismo (BNVCA) o SOS Racisme, non sempre l'attribuzione di questi atti come antisemiti è confermata nelle aule dei tribunali. Yair sfida comunque a provare il brivido dei perseguitati: "Entrate in metropolitana con una kippah, mi racconterete."

È in un clima del genere che l' alyah, il ritorno in Israele, sta facendo proseliti fra gli ebrei francesi, con un aumento delle partenze durante lo scorso anno che, stando al Times of Israel, sarebbe del 312 percento. Secondo gli ultimi dati pubblici della JAFI—l'Agenzia Ebraica per Israele, l'organismo israeliano filogovernativo che promuove attivamente la contro-diaspora e ha dovuto raddoppiare i suoi effettivi a Parigi—sono 2.254 i francesi emigrati in Israele nella prima metà del 2014. Erano meno di 600 nel 2013.

La sensazione di essere sull'orlo del cataclisma è cavalcata dalle figure istituzionali di spicco della comunità, come il presidente del CRIF Roger Cuckierman, che durante l'incontro ufficiale con François Hollande per commentare i recenti attentati ha tenuto a rassicurare tutti parlando di "situazione di guerra."

Foto di Etienne Rouillon/VICE News.

Netanyahu, arrivato in Francia nei giorni scorsi, ha ribadito pubblicamente l'invito a tornare a "casa", in Israele. Poche ore prima, durante la "marcia repubblicana" dell'11 gennaio a Parigi, si era tenuto sotto alta sorveglianza il Salone dell'Alyah per gli ultracinquantenni, che si aggiunge alle riunioni quindicinali d'informazione della JAFI per aiutare a preparare la partenza. Ogni città israeliana aveva il proprio stand, in un tripudio di foto di tramonti, palme e bandiere nazionali.

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La prima dichiarazione pubblica del proprietario del supermercato kosher ferito nell'attacco della scorsa settimana ha riguardato proprio la decisione di trasferirsi in Israele con la famiglia non appena sarà dimesso dall'ospedale. Allo stesso modo, le esequie dei quattro caduti (due di nazionalità francese e due tunisini) si sono tenute il 13 gennaio a Gerusalemme, apparentemente non senza pressioni da parte delle autorità israeliane. Si è trattato di un raro caso di emigrazione post-mortem che ha destato qualche polemica in Tunisia, e interessa attualmente il 15 percento delle morti ebraiche in Île-de-France.

Quando chiedo a Yair se non senta di aver fallito nel suo progetto, visto che tutti quelli che dovrebbe proteggere stanno letteralmente scappando, ride: "Assolutamente no, considero che la missione del Betar sia esattamente l' alyah. In attesa che tutti possano partire, noi li aiutiamo a difendersi, gli insegniamo la Torah e l'ebraico. Li prepariamo, in un certo senso."

"Israele è casa nostra, e ce la riprenderemo," assicura. Ma il sogno sionista non si rivela sempre tale nella pratica. Nonostante l'abbondanza di aiuti statali—come il finanziamento del biglietto aereo di sola andata, i corsi di ebraico gratuiti per i primi cinque mesi, o ancora alcuni sgravi fiscali e l'ottenimento automatico della nazionalità israeliana—l'integrazione è tutt'altro che semplice. E lasciare la "pericolosa" Parigi per catapultarsi nel cuore del conflitto (con l'obbligo per i giovani di effettuare il servizio militare) non sembra essere la decisione più logica.

Qualcuno finisce quindi per tornare, coperto dal silenzio che accompagna i fallimenti. Altri, come i pensionati, si rassegnano a rimanere sulla terra di una promessa disattesa. Sul blog Terredisrael si può leggere un'analisi preoccupata sulla condizione di una parte della comunità francofona israeliana: "Le difficoltà economiche e l'isolamento dal resto della popolazione non può che portarli alla violenza e al crimine," come degli immigrati qualsiasi. Per cercare una soluzione, Israele ha istituito a dicembre una commissione parlamentare d'urgenza per discutere un piano ribattezzato "La France d'abord", la Francia per prima.

Se all'annuncio dell'esodo qualcuno dirà "La France, tu l'aimes ou tu la quittes" (La Francia, la ami o te ne vai)—uno dei cavalli di battaglia della destra populista riservato di solito ai musulmani—forse, finito il tempo del lutto, bisognerà interrogarsi su un modello di integrazione che si fodera gli occhi con spesse fette di laicità. E rassicurare Netanyahu che la Francia del 2015 non è più Vichy.

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