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Dentro il sindacato italiano dei pazienti psichiatrici che lotta “per la liberazione dei matti”

A Torino, un movimento spontaneo ha dato vita a un “sindacato” che difende i diritti dei pazienti affetti da disturbi psichici: un esperimento che VICE News ha cercato di raccontare dall'interno.
Simone Sandretti, co-fondatore del Torino Mad Pride.

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Nell'agosto del 2015, con la morte di Andrea Soldi, l'opinione pubblica italiana si è trovata di nuovo a fare i conti con il lato oscuro della psichiatria.

Soldi è il 43enne schizofrenico che ad agosto, stando al referto autoptico e a diverse testimonianze, sarebbe stato strangolato da un vigile urbano nel corso di un trattamento sanitario obbligatorio, una forma di ricovero coatto molto utilizzata nel nostro paese.

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Delle morti da TSO si è parlato moltissimo, da allora: se ne contano tre solo tra il giugno e l'agosto scorsi, tutte avvenute in circostanze violente. E l'elenco, negli ultimi anni, è andato allungandosi in modo preoccupante.

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Ma quei decessi sarebbero in realtà solo la punta di un iceberg: perché è nel quotidiano che i cosiddetti "utenti psichiatrici" continuano a vedersela con l'isolamento, la disoccupazione permanente, gli effetti di farmaci prescritti spesso alla leggera.

Il Torino Mad Pride

È per discutere di questo che all'inizio di febbraio siamo andati a intervistare il fondatore del primo movimento italiano "per la liberazione dei matti". Nato nel 2011 per allestire l'omonima parata, il Torino Mad Pride è un'organizzazione composta in larga parte da utenti, ex utenti e rinnegati dei servizi psichiatrici.

A concepirla, in un momento di delirio, fu Simone Sandretti, regista e videomaker con una diagnosi di "grave sindrome schizoaffettiva". Cinque anni fa, di fronte all'eventualità di un ennesimo ricovero 'spontaneo', Sandretti si diede alla macchia, fuggendo a Roma e poi di nuovo a Torino.

"Fu in quei giorni," ha raccontato Sandretti a VICE News, "che cominciai ad avere una sorta di visione ricorrente, quella dei matti che sfilavano per le strade della città. In seguito, parlandone con quello che poi sarebbe divenuto il nostro direttivo, fummo tutti d'accordo nel credere che quell'allucinazione meritasse di diventare al più presto realtà".

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Neanche 12 mesi dopo, in effetti, a Torino andava in scena la "prima marcia italiana per l'orgoglio dei folli," evento che da allora s'è ripetuto ogni estate. Ma ben presto il Mad Pride avrebbe iniziato a trasformarsi in qualcosa di sempre più simile a un sindacato di categoria: mediando tra utenti e istituzioni della psichiatria; lanciando un sistema di collocamento "su misura per i matti"; e occupando un ex centro di salute mentale con l'idea di farne una Casa del fuggitivo sul modello della Weglafhaus berlinese.

"Tutte idee partorite da Simone" racconta oggi Andrea Delliri, 37 anni, per qualche anno attivista nel Mad Pride. "Sandretti era un uomo geniale sotto molti punti di vista. Ma era anche capace di rovesciare il tavolo sul più bello, mandando all'aria progetti a cui magari s'era dedicato per mesi."

Simone Sandretti aveva 39 anni quando l'abbiamo intervistato, e da otto era stato dichiarato - come si definiva lui stesso - "matto". Ne avrebbe compiuti 40 a giugno; ma il condizionale purtroppo è d'obbligo, perché il 15 febbraio, ad appena qualche giorno dalla nostra chiacchierata, Sandretti ha rovesciato il tavolo per un'ultima volta.

Le circostanze della sua morte, in fondo, non hanno molta importanza: ma da allora, quella bozza d'intervista ha naturalmente iniziato a trasformarsi in qualcos'altro.

Quanto segue è una biografia orale del Torino Mad Pride, ricomposta attraverso le voci - ora lucide e spietate, ora deliranti - di quanti vi hanno presto parte dal 2011 ad oggi.

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'Entrare nell'ingranaggio'

Delliri ci racconta la storia di Giulio T., un ragazzo torinese con qualche problema di stabilità psichica. Una settimana fa, andando ad aprire la porta di casa dopo un litigio con la madre, si è trovato di fronte sei carabinieri che avevano l'ordine di portarlo in ospedale per un TSO.

"Quando li ha visti ha iniziato ad agitarsi di brutto," racconta a VICE News Delliri. "Così quelli l'hanno immobilizzato e trascinato via di peso." Da giorni Giulio è totalmente intontito dai farmaci. "Il punto è che alcune di quelle molecole lui non dovrebbe proprio assumerle. La prima volta in 'repartino' ci è arrivato per un episodio depressivo: ma per qualche motivo decisero di trattarlo col Risperidone, che è un antipsicotico. E così è finita che psicotico lo è diventato sul serio."

"I farmaci ti rendono un guscio vuoto: interferiscono con il sonno, la memoria a breve termine, l'umore."

Delliri allude all'"effetto contraccolpo" generato da molti antipsicotici, che - secondo Delliri - se dimessi bruscamente vanno a riacutizzare i sintomi che dovrebbero combattere. Per questo, anche una volta terminato il ricovero, il paziente non può far altro che continuare ad assumerli, con iniezioni periodiche somministrate nei Centri di salute mentale.

"Il problema è che a lungo andare quei farmaci ti rendono un guscio vuoto: interferiscono con il sonno, la memoria a breve termine, l'umore. E gli psichiatri tendono spesso a prescriverli secondo una logica che è funzionale a loro stessi, più che al paziente: perché se cominci a delirare in reparto, rischi di trascinartene dietro altri dieci, che magari fino al tuo arrivo erano rimasti buoni. Allora, al primo cenno d'agitazione, capita che ti dichiarino psicotico e ti riempiano di quella roba. E così inizia il calvario."

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Leggi anche: Forse anche tu soffri di disturbo bipolare—almeno secondo il Manuale dei Disturbi Mentali

La diagnosi di "sindrome bipolare" Andrea Delliri l'ha ricevuta nel 2007, durante il suo primo TSO. Per i successivi cinque anni ha continuato a entrare e uscire dal reparto di psichiatria dell'Amedeo di Savoia, perché rifiutava ostinatamente le prescrizioni dei medici.

Finché una parente lo ha messo in contatto con un rinomato psichiatra, che ha voluto provare a curarlo unicamente con il litio, generalmente utilizzato come coadiuvante degli psicofarmaci. "Da allora," racconta Delliri, "non ho più avuto una crisi che sia una. Ma non tutti sono altrettanto fortunati: per molti, il primo ricovero è l'inizio della morte civile."

La caparbietà è costata a Delliri un totale di quattro ricoveri in cinque anni. Ma col tempo, quasi ogni utente psichiatrico impara a destreggiarsi tra ospedali, farmaci ed effetti collaterali.

"La prima cosa che capisci," ha spiegato a VICE News Simone Sandretti, "è che durante un TSO devi cercare di tenere un basso profilo: perché è in base a quello che lo psichiatra deciderà quanto a lungo resterai in reparto e che tipo di farmaci prenderai. In seguito, inizi anche a intravedere la logica che c'è dietro alcune prescrizioni. Ma queste intuizioni arrivano sempre a cose fatte, quando ormai sei entrato nell'ingranaggio."

Come funziona il sindacato dei "matti"

Secondo Sandretti, dunque, sono i primi ricoveri a segnare il destino di un utente psichiatrico. "Quando attraversi una crisi psicotica o maniacale, tu e il medico non parlate la stessa lingua. E allora c'è bisogno di qualcuno che faccia da interprete."

Per il Mad pride, questo qualcuno è il mediatore psico-sociale: una figura sperimentale che non esiste negli organigrammi della sanità; ma che si paleserebbe ogni volta per aiutare, "dentro e fuori dai reparti," un utente "a darsi una calmata, a non prendersi un prolungamento del TSO, a non finire in un letto di contenzione."

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Nel marzo del 2014, in effetti, alla Camera dei deputati fu presentato un disegno di legge che prevedeva l'istituzione del cosiddetto "utente esperto" all'interno dei servizi di salute mentale.

"Tra noi ci sono ossessivi, paranoici, maniacali. Ma in qualche modo funziona, e le cose si bilanciano."

Già allora, in realtà - in via del tutto informale e clandestina - il Mad Pride aveva iniziato a fare qualcosa di molto simile a Torino. "Quando cominciammo a riunirci," ci spiegava Sandretti, "ci trovammo di fronte a persone che riferivano problemi molto concreti. C'era chi rischiava un nuovo ricovero, o magari doveva ridiscutere la terapia con lo psichiatra competente, sentendo di non avere alcun potere contrattuale. Così, iniziammo a intervenire in alcune di quelle situazioni. E ci accorgemmo che la cosa poteva funzionare."

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Col tempo, il passaparola tra gli utenti psichiatrici di Torino ha iniziato a diffondere la notizia dell'esistenza di quello strano sindacato, fondato e partecipato da persone affette da disturbi mentali

Tre anni fa, il gruppo ricevette la chiamata di un ragazzo di Pinerolo, che affermava di essere trattenuto illegalmente in un reparto di psichiatria. "Venne fuori che il padre lo aveva attirato in ospedale con un tranello," ci ha spiegato Sandretti.

"E lui, sentendosi chiuso all'angolo, aveva accettato di ricoverarsi spontaneamente. Ma una volta dentro, il suo ingresso era stato registrato come un TSO; il che, in quelle circostanze, era del tutto illegittimo. Così coinvolgemmo Roberto Rolli, un avvocato molto esperto in queste faccende. E, fatto più unico che raro, riuscimmo ad ottenere il ritiro di quel provvedimento."

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Secondo il Mad Pride, dietro a queste iniziative non c'è alcuna forma di antagonismo verso le istituzioni. "L'idea," spiega a VICE News Chiara Abbà, educatrice e psicoterapeuta che dal 2012 collabora col gruppo, "è avere semplicemente qualcuno che faccia davvero gli interessi del paziente. Il che, a volte, può anche significare persuaderlo a prendere i farmaci o entrare in reparto."

Lukasz Mrozinski (sinistra) e Lorenzo Peyrani (destra).

Lukasz Mrozinski, ad esempio, racconta che furono proprio Sandretti e Lorenzo Peyrani a convincerlo a lasciarsi ricoverare. Mrozisnki è un cantautore di origine polacca, che di recente ha ottenuto un certo seguito nella scena indie italiana.

Nel 2013, al culmine di un pesante episodio depressivo, cercò di togliersi la vita nella sua abitazione. "Quando arrivarono i paramedici li aggredii" ricorda. "Così quelli se ne andarono, chiamando i carabinieri. Nel frattempo, però, il mio coinquilino aveva telefonato a Sandretti; e in qualche modo, lui e Lorenzo riuscirono a convincere l'ambulanza a tornare indietro, gli agenti a non richiedere il Tso e me a lasciarmi aiutare".

Mrozinski ha raccontato la sua esperienza in "Mad Pride" — un concept album che narra il percorso umano che lo ha portato all'interno del movimento. I tecnici e i musicisti - poi entrati stabilmente nella sua band - provengono quasi tutti dal Mad Pride e dal progetto Matti a cottimo.

Matti A Cottimo

Secondo uno studio pubblicato di recente dagli psichiatri Antonio Maone e Barbara D'Avanzo, il 70 per cento dei pazienti psichiatrici, pur in assenza della cosiddetta "guarigione completa", sarebbe in grado di condurre una vita perfettamente normale.

Paradossalmente, l'ostacolo principale in questo senso sarebbe rappresentato proprio dalla miopia dei servizi psichiatrici e del sistema di welfare. Tra le categorie interessate dalla legge 68/99 - che regola l'inserimento lavorativo dei soggetti definiti "disabili" - sono proprio gli utenti psichiatrici a riportare le più alte percentuali di disoccupazione.

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"Ciò accade perché chi ha una diagnosi di questo tipo viene spesso percepito come inaffidabile" spiega a VICE News Claudia Alonzi, operatrice in un centro di salute mentale. "Così, l'unica alternativa restano le misure assistenziali, come le borse lavoro."

Nel settembre del 2014, il Torino Mad Pride ha lanciato www.mattiacottimo.net, un portale strutturato come un vero e proprio 'Linkedin dei matti'. Il sito offre due diversi moduli di registrazione, dedicati a chi voglia offrire o cercare lavoro. "Questo," aveva dichiarato Simone Sandretti qualche tempo prima del lancio, "è l'unico modo per strappare alle braccia del welfare tutti quelli che sono ancora in grado di tirarsi su le braghe da soli."

L'home page di Matti A Cottimo. (Grab)

Il progetto, in realtà, era partito in via informale due anni prima, quando su La Sveglia (il giornale stampato dal Mad Pride) fu inserita una rubrica di annunci.

"A un certo punto," ricorda Luca Atzori, co-fondatore del movimento, "fummo chiamati da un privato che cercava facchini per un trasloco. In seguito ci venne chiesto di distribuire volantini per un teatro, e una fabbrica assunse nove di noi per un lavoro di manutenzione interna. Si è sempre trattato di lavori temporanei; ma l'idea è proprio quella di sfruttare l'attuale precarietà del mercato per costruire dei punti di rientro nel mercato del lavoro, per chi, come i matti, è spesso costretto ad uscirne."

A oggi, Matti a Cottimo ha dato lavoro a una quarantina di persone. "Abbiamo, tra le altre, una squadra traslochi," spiega Lorenzo Peyrani, direttore de La Sveglia, "una che si occupa di volantinaggio e perfino un team video, che ha realizzato ben cinque filmati per Coldiretti."

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Simone Sandretti, a sinistra, e Lorenzo Peyrani, a destra.

La Repubblica dei Matti

Ma per riuscire davvero ad agire sull'ingranaggio di cui parlava Sandretti - quel circolo vizioso per cui, un ricovero dopo l'altro, ci si ritrova sempre più alienati - mancava ancora qualcosa.

Così il 19 maggio del 2014, il Mad Pride occupò i locali in disuso di quello che sarebbe dovuto diventare il Centro di salute mentale di via Gorizia, i cui lavori erano stati abbandonati da anni per mancanza di fondi.

In una manciata d'ore, la struttura s'era già trasformata in una cittadella autonoma - presto ribattezzata "Repubblica dei matti" - con uno sportello per consulti psicologici gratuiti, seminari tenuti da accademici come Roberto Beneduce (fondatore dell'Etnopsichiatria), una biblioteca, una mensa e uno spazio per eventi.

"L'idea," ricorda Peyrani, "era quella di dare vita a un rifugio urbano, un porto franco in cui chi attraversasse un momento di crisi potesse cercare di riprendersi senza finire in TSO. Saremmo dovuti uscire dopo tre giorni, per poi chiedere alla ASL di concederci la gestione del posto. Ma presto capimmo che le cose non sarebbero state così semplici."

All'interno dell'Azienda sanitaria, in effetti, esistevano diverse scuole di pensiero circa il riutilizzo di quei locali: e con le elezioni regionali alle porte, in pochi erano disposti a mollare per far spazio a una trentina di matti con i loro amici.

Il documentario sul Torino Mad Pride.

"Così," continua Peyrani, "il terzo giorno Simone mise ai voti una mozione che proponeva di occupare a oltranza. La cosa provocò una forte spaccatura nel gruppo; ma alcuni di noi decisero di sposare quella linea, e ci preparammo all'arrivo della polizia."

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Qualche ora dopo, Sandretti era sul tetto della struttura "dichiarando guerra alla ASL, alle istituzioni e al mondo intero," ricorda Chiara Abbà, "mentre il suo psichiatra cercava di convincerlo a scendere."

Alla fine, da quel tetto Simone scese con un volo di qualche metro, procurandosi una frattura scomposta alla gamba sinistra e un ricovero in ortopedia, che rischiava di tramutarsi presto in TSO.

Sandretti però era più lucido di quanto apparisse; e tre giorni dopo - mentre la maggior parte degli agenti di pubblica sicurezza era impegnata a presidiare i seggi elettorali - tornò a occupare la "Repubblica" con un pugno di altri utenti — e con i chiodi ortopedici che gli tenevano insieme le ossa della gamba.

"Quella seconda occupazione andò avanti per una quarantina di giorni," ricorda Peyrani, "e si svolse in un clima piuttosto delirante. Ma l'idea del rifugio urbano, in fondo, era proprio quella: avere un posto in cui, volendo, si fosse anche liberi di delirare."

Nel mese successivo, in effetti, mentre l'ASL studiava contromisure per affrontare la situazione, in via Gorizia iniziarono a presentarsi perfino utenti arrivati da altre regioni.

Alla fine fu lo stesso Sandretti a chiarire il senso di quell'iniziativa - e dello stesso Mad Pride - a Wilma Xocco, direttrice del Dipartimento di salute mentale di zona, che più volte aveva cercato di convincerlo ad andarsene: "Qui abbiamo costruito una rete di persone" disse Sandretti.

"Tra noi ci sono ossessivi, paranoici, maniacali. Ma questa roba qui, in qualche modo, funziona: le cose si bilanciano. E la rete diviene una rete elastica".

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Foto per gentile concessione del Torino Mad Pride.